RIBELLARSI E' GIUSTO

ne servi ne padroni

Odio gli indifferenti

"Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. Antonio Gramsci

UN GIORNO NON PUO' VIVERE SENZA LA SUA UTOPIA...

Così l’uomo deve vivere andare senza frontiere come bambini dietro un aquilone Correre giocare ridere vivere Non girare mai il volto anche quando a te non tocca Amare questa terra dove nel nostro cuore sventola rossa come il sole il simbolo di una nuova era Cammina uomo E va senza tempo Ridere amare lottare e poi infine invecchiare E passerà per questa terra come una luce di libertà

mercoledì 30 dicembre 2009

Sosteniamo la popolazione di Gaza. Free Gaza


SOSTENIAMO LA POPOLAZIONE DI GAZA

BOICOTTIAMO ISRAELE E L’EGITTO

Dal 27 dicembre una delegazione di 1500 persone provenienti da tutto il mondo sta cercando di raggiungere, attraverso l’Egitto, il Valico di Rafah e portare solidarietà alla popolazione palestinese della Striscia di Gaza, ancora sotto assedio a un anno dalla feroce aggressione israeliana “Piombo fuso”. Il governo egiziano, succube e complice di Israele e degli Stati Uniti, sta trattenendo gli attivisti, sequestra i loro mezzi di trasporto e impedisce loro gli spostamenti.

Per sostenere il popolo palestinese sotto assedio e gli attivisti della Gaza Freedom March si invitano tutte le agenzie di viaggi e i loro clienti a interrompere per protesta i viaggi turistici in Egitto. Inoltre si invita tutti a intensificare il boicottaggio dei prodotti israeliani e delle aziende che collaborano con Israele.

martedì 29 dicembre 2009

TFR sotto attacco: no allo scippo dei fondi pensione

TFR, un furto annunciato : ecco i perche'....

La Legge finanziaria procede speditamente verso il voto di fiducia e, in attesa del gettito proveniente dallo scudo fiscale, tra le pieghe della Legge il governo ha introdotto il meccanismo attraverso il quale drenare 3,1 miliardi dal TFR dei lavoratori. Infatti, l'esecutivo, grazie alle norme della "riforma" Prodi del 2007, sottoscritta da CGIL, CISL, UIL e UGL, si appresta ad un prelievo forzoso del TFR depositato all'Inps.


Due anni fa, il governo di centrosinistra e le burocrazie sindacali confederali e di destra, ebbero la faccia tosta di presentare la riforma del TFR come un vantaggio per i lavoratori, annunciando che i fondi pensione sarebbero cresciuti sul mercato finanziario e che il TFR "inoptato" sarebbe stato, in ogni caso, "garantito" dall´Inps. In realtà, è accaduto l´opposto. I fondi pensione sono stati colpiti dalla crisi, e il TFR depositato all´Inps è diventato il Bancomat del governo: esattamente come avevano denunciato e previsto il sindacalismo di base, gli unici che si erano opposti.
Ora, il governo usa a proprio vantaggio, contro i lavoratori, l´eredità del centrosinistra: purtroppo non solo sul TFR ma, anche, su tanti altri terreni.
Insomma, se oggi il governo di centrodestra mette le mani nei risparmi dei lavoratori è perché il governo Prodi gli ha spianato la strada.
Prodi lo definì un "accordo verso la concertazione" mentre il suo Ministro dell'Economia e delle Finanze, Tommaso Padoa Schioppa, noto ai lavoratori del MEF per la destrutturazione del dicastero, "un accordo storico".
Le dichiarazioni di soddisfazione da parte del sindacato confederale furono incontenibili: "una buona intesa, un accordo soddisfacente", anche perché, in questo modo, "i lavoratori potranno scegliere liberamente".
Era ottobre del 2006 e si respirava grande soddisfazione tra Governo, Confindustria e CGIL, CISL, UIL e UGL anche dopo la sigla dell'accordo che spostava il cosiddetto TFR inoptato quello, cioè, che non viene dirottato dai lavoratori alla previdenza complementare, sul Fondo Tesoreria dell'Inps.
Si trattava esattamente della riforma che, oggi, la finta opposizione e la CGIL rimproverano al governo Berlusconi e al ministro Tremonti ma che, in realtà, è il prodotto delle politiche del secondo governo Prodi. Più precisamente, la norma era prevista dalla finanziaria 2007. L'ex presidente del Consiglio, infatti, dichiarava che "quelli del TFR e della previdenza integrativa sono temi centrali per l'impianto della manovra e per le scelte di fondo della politica di governo" mentre, Tommaso Padoa Schioppa, non vedeva l'ora di poter disporre di un Fondo di alcuni miliardi di euro.
L'accordo fu raggiunto dopo alcune tribolazioni. Il governo, infatti, voleva trasferire presso l'Inps tutto "l'inoptato", circa 6 miliardi di euro, scatenando la protesta delle piccole e medie imprese che si sarebbero viste così sottrarre una enorme quantità finanziaria molto importante per il loro autofinanziamento. Solo dopo un lungo tira e molla, il padronato di Confindustria, ottenne l'esenzione per le imprese con meno di 50 dipendenti. L'accordo fu siglato nell'ambito del lancio della previdenza complementare, già stabilito dal precedente governo ma che il governo Prodi decise di anticipare di sei mesi, al primo gennaio 2007. Una riforma che prevede l'investimento dei fondi del TFR in appositi fondi di investimento previdenziali, con l'odiosa truffa del silenzio-assenso, e il cui andamento dal 2007 a oggi è stato poco più che disastroso. La burrasca finanziaria che ha colpito il mondo intero si è abbattuta come una mannaia sui risparmi dei lavoratori che, oggi, sono falcidiati e che dovranno attendere molto tempo ancora prima di poter essere rivalutati, a differenza dei fondi mantenuti nel TFR, che si sono rivalutati in misura del 2-3% annuo.
Oggi, il Ministro Tremonti, approfitta di quella norma per incamerare circa 3 miliardi di fondi "inoptati" e utilizzarli per far quadrare i conti facendo, quindi, debito, cosa sempre categoricamente esclusa finora.
Uno scippo dei soldi dei lavoratori, a cui nessuno ha chiesto il parere, esattamente come accadde tre anni con il governo Prodi.
Solo che, allora, a gestire la misura fu il governo di centrosinistra con il consenso esplicito di CGIL, CISL e UIL.
E' bene ricordare che per i lavoratori pubblici, gli stessi autori della rapina del TFR dei lavoratori privati, si apprestarono a sottoscrivere all'Aran, con un vero e proprio blitz estivo (1 agosto 2007) "l´Accordo per la costituzione del Fondo Nazionale Pensione Complementare per i lavoratori dei Comparti Pubblici", con la chiara intenzione di non rinunciare al bottino del TFS. La decisione del Governo, quindi, di utilizzare oltre 3 miliardi di euro provenienti dagli accantonamenti del TFR dei lavoratori a copertura di un terzo dell'intera Finanziaria è un furto già annunciato.Già dalla decisione di trasferire il TFR dalle aziende ai fondi pensione e all'Inps era chiaro che il risparmio affidato ai fondi pensione sarebbe diventato carta straccia, e quello all'Inps sarebbe stato utilizzato dal Tesoro a copertura di esigenze che nulla hanno a che vedere con la previdenza dei lavoratori.
Dunque, non ci stupisce tanto questo, quanto il fatto che CGIL, CISL, UIL e UGL, che hanno fortemente voluto e sostenuto il trasferimento del TFR ai fondi pensione e lo smantellamanto di fatto dell'istituto del TFR, oggi si stupiscano dell'uso che il Governo ne intende fare.
Non solo la RdB diffida il governo dall'utilizzare questi fondi in modo diverso da quello che è il loro unico scopo, ovvero garantire la buonuscita dei lavoratori, ma ritiene che sia ormai improcrastinabile l'introduzione di una norma che almeno consenta ad ogni singolo lavoratore di fare marcia indietro e di riprendersi i propri risparmi.
Ci troviamo, quindi, di fronte da un lato a un gigantesco condono per i grandi evasori fiscali e, dall'altro, al sequestro di tre miliardi dalle "buonuscite" dei lavoratori.
Questi sono gli unici pilastri della legge finanziaria del governo attuale.

RdB Tesoro

Intervista a Beppe Scienza
matematico, economista e ricercatore dell'ateneo torinese.

lunedì 28 dicembre 2009

Lezione di giornalismo

Dedicato ai giornalisti e alla stampa italiana, fatta eccezzione per alcune mosche bianche:

domenica 27 dicembre 2009

mercoledì 23 dicembre 2009

Il 23 Dicembre è una giornata storica [No Ponte]

Mentre il Ministro Matteoli insiste nella pagliacciata della prima pietra, invitiamo tutte e tutti a partecipare ai funerali del compagno Franco Nisticò che si terranno domani [oggi: 23 dicembre] a Badolato (CZ) alle 16. Stringiamoci attorno alla famiglia, ma soprattutto continuamo a lottare perché è quello che Franco ha chiesto a tutte/i noi...


L'intervento di Franco alla manifestazione No Ponte



Il 23 dicembre è una giornata storica!

Lo proclama in grande stile il Ministro Matteoli. Ed infatti è così, ma non tanto per la fantomatica prima pietra del Ponte che, nonostante tutti gli annunci in pompa magna, non si può proprio "posare": non solo manca, come ben noto, il progetto esecutivo del Ponte, ma manca anche quello della Variante di Cannitello.

L'11 dicembre è stata aperta una nuova procedura di VIA, e il nuovo progetto è attualmente sottoposto a verifica di ottemperanza delle prescrizioni Cipe: non si può né mettere né tantomeno togliere una pietra fino al 10 febbraio. Questo lo dovrebbe sapere il Ministro, la Stretto di Messina s.p.a. e tutti quei dottoroni che straparlano di sviluppo senza specificare che a beneficiare di questo "sviluppo" sarebbero solo la stretto di Messina s.p.a. con la sua mandria di consulenti, l'Impregilo e le mafie calabrese e siciliana.

Il 23 dicembre è però una giornata maledettamente importante per noi: alle 16 si terranno a Badolato Marina i funerali di Franco Nisticò, il compagno morto sul palco di Cannitello, vittima della campagna di criminalizzazione che hanno costruito attorno al nostro movimento e di una gestione militarista della piazza tesa solo a reprimere. Eppure sono anni che il movimento No Ponte organizza manifestazioni e iniziative nell'area dello Stretto, cortei, campeggi, concerti: anni in cui si è sempre dimostrato, iniziativa dopo iniziativa, la natura pacifica quanto determinata del movimento e, soprattutto, il suo grande senso di responsabilità. Proprio come sabato 19 dicembre a Cannitello.

Lo abbiamo detto in tutti i modi e lo ribadiamo ancora una volta: quello che è successo il 19 dicembre è di una pericolosità inaudita! Un corteo pacifico, colorato, festoso come è sempre stato e come si sapeva bene sarebbe stato, costretto però a sfilare in una città militarizzata, con mimetiche di ogni tipo, blindati, motovedette, elicotteri, magari anche qualche sottomarino nascosto: si temevano scontri e devastazioni! Eppure il corteo scorre tranquillo e si arriva in piazza a Cannitello dov'è allestito il palco: tra gli arrivi dei numerosi spezzoni e l'attesa per gli "Artisti contro il Ponte", iniziano a susseguirsi i vari interventi, fino all'accorato appello di Franco Nisticò, un appello all'unità, un appello all'impegno comune, tutti insieme, giovani ed anziani, per ridare fiato e prospettive alla lotta, per aprire un cammino nuovo per questa terra sistematicamente violentata. Poi la tragedia, Franco si accascia colpito da un malore, lo Sciamano dal palco, pronto ad aprire il pomeriggio di musica e spettacolo, richiede ripetutamente dal microfono l'intervento di medici, si inizia il massaggio cardiaco, si pratica la respirazione bocca a bocca, ma non c'è l'ambulanza invocata da tutti, né gli strumenti per supportare lo sforzo dei medici! Ci sono manganelli, scudi, blindati, motovedette, elicotteri, tutte le divise, ma non c'è un'ambulanza... Franco viene trasportato in ospedale con un mezzo della polizia tra l'indignazione della piazza che ha assistito alla tragedia, vedendo l'inadeguatezza di chi doveva garantire "l'ordine e la sicurezza": ma se davvero ci fossero stati scontri come qualcuno si aspettava - o ci sperava - che cosa sarebbe successo con tutti quei manganelli e senza neanche un'ambulanza?

Qualcuno ha definito Franco Nisticò la prima vittima del Ponte . Forse lo è, forse non lo è, considerando le vittime della grande guerra di ‘ndrangheta reggina che la DDA collega proprio agli appetiti riguardo i miliardi del Ponte. Sicuramente Franco è vittima di un sistema repressivo che ci vorrebbe precari, flessibili, inquinati, silenti nel vedere svendere la nostra terra o la nostra acqua e vittime di quelle istituzioni che oggi si palleggiano vergognosamente le responsabilità. L'appello di Franco, le sue parole comunque ricche di speranza e di fiducia nel popolo calabrese, rimbombano ancora nelle nostre orecchie e quell'appello vogliamo raccogliere, perché soltanto lottando tutti insieme possiamo dare dignità e futuro a questa terra; lo faremo a cominciare dal 23 dicembre giorno in cui saremo tutti a Badolato a salutare Franco come avrebbe voluto, col pugno chiuso alzato e la bandiera rossa listata a lutto.

Solo la lotta porta risultati! Ciao Franco! Alla lotta!


c.s.o.a. "A.Cartella"

martedì 22 dicembre 2009

Forze armate e privatizzate


Forze armate e privatizzate

Tutta la gestione della Difesa passa in mano a una società per azioni. Che spenderà oltre 3 miliardi l'anno agli ordini di La Russa. Così un ministero smette di essere pubblico

Le forze armate italiane smettono di essere gestite dallo Stato e diventano una società per azioni. Uno scherzo? Un golpe? No: è una legge, che diventerà esecutiva nel giro di poche settimane. La rivoluzione è nascosta tra i cavilli della Finanziaria, che marcia veloce a colpi di fiducia soffocando qualunque dibattito parlamentare. Così, in un assordante silenzio, tutte le spese della Difesa diventeranno un affare privato, nelle mani di un consiglio d'amministrazione e di dirigenti scelti soltanto dal ministro in carica, senza controllo del Parlamento, senza trasparenza. La privatizzazione di un intero ministero passa inosservata mentre introduce un principio senza precedenti. Che pochi parlamentari dell'opposizione leggono chiaramente come la prova generale di un disegno molto più ampio: lo smantellamento dello Stato. "Ora si comincia dalla Difesa, poi si potranno applicare le stesse regole alla Sanità, all'Istruzione, alla Giustizia: non saranno più amministrazione pubblica, ma società d'affari", chiosa il senatore pd Gianpiero Scanu.

Stiamo parlando di Difesa Servizi Spa, una creatura fortissimamente voluta da Ignazio La Russa e dal sottosegretario Guido Crosetto: una società per azioni, con le quote interamente in mano al ministero e otto consiglieri d'amministrazione scelti dal ministro, che avrà anche l'ultima parola sulla nomina dei dirigenti. Questa holding potrà spendere ogni anno tra i 3 e i 5 miliardi di euro senza rispondere al Parlamento o ad organismi neutrali. In più si metterà nel portafogli un patrimonio di immobili 'da valorizzare' pari a 4 miliardi. Sono cifre imponenti, un fatturato da multinazionale che passa di colpo dalle regole della pubblica amministrazione a quelle del mondo privato. Ma questa Spa avrà altre prerogative abbastanza singolari. Ed elettrizzanti. Potrà costruire centrali energetiche d'ogni tipo sfuggendo alle autorizzazioni degli enti locali: dal nucleare ai termovalorizzatori, nelle basi e nelle caserme privatizzate sarà possibile piazzare di tutto. Bruciare spazzatura o installare reattori atomici? Signorsì! Segreto militare e interesse economico si sposeranno, cancellando ogni parere delle comunità e ogni ruolo degli enti locali. Comuni, province e regioni resteranno fuori dai reticolati con la scritta 'zona militare', utilizzati in futuro per difendere ricchi business. Infine, la Spa si occuperà di 'sponsorizzazioni'. Altro termine vago. Si useranno caccia, incrociatori e carri armati per fare pubblicità? Qualunque ditta è pronta a investire per comparire sulle ali delle Frecce Tricolori, che finora hanno solo propagandato l'immagine della Nazione. Ma ci saranno consigli per gli acquisti sulle fiancate della nuova portaerei Cavour o sugli stendardi dei reparti che sfilano il 2 giugno in diretta tv?

Lo scippo. Quali saranno i reali poteri della Spa non è chiaro: le regole verranno stabilite da un decreto di La Russa. Perché dopo oltre un anno di dibattiti, il parto è avvenuto con un raid notturno che ha inserito cinque articoletti nella Finanziaria. "In diciotto mesi la maggioranza non ha mai voluto confrontarsi. Noi abbiamo tentato il dialogo fino all'ultimo, loro hanno fatto un blitz per imporre la riforma", spiega Rosa Villecco Calipari, capogruppo Pd in commissione Difesa: "I tagli alla Difesa sono un dato oggettivo, dovevano essere la premessa per cercare punti di convergenza. La tutela dello Stato non può avere differenze politiche, invece la destra ha tenuto una posizione di scontro fino a questo scippo inserito nella Finanziaria".

Non si capisce nemmeno quanti soldi verranno manovrati dalla holding. Difesa Servizi gestirà tutte le forniture tranne gli armamenti, che rimarranno nelle competenze degli Stati maggiori. Ma cosa si intende per armamenti? Di sicuro cannoni, missili, caccia e incrociatori. E gli elicotteri? E i camion? E i radar e i sistemi elettronici? Quest'ultima voce ormai rappresenta la fetta più consistente dei bilanci, perché anche il singolo paracadutista si porta addosso una serie di congegni costosissimi. La definizione di questo confine permetterà anche di capire se questa privatizzazione può configurare un futuro ancora più inquietante: una sorta di duopolio bellico. Finmeccanica, holding a controllo statale che ingaggia legioni di ex generali, oggi vende circa il 60 per cento dei sistemi delle forze armate. E a comprarli sarà un'altra spa: due entità alimentate con soldi pubblici che fanno affari privati. Con burattinai politici che ne scelgono gli amministratori. All'orizzonte sembra incarnarsi un mostro a due teste che resuscita gli slogan degli anni Settanta. Ricordate? 'L'imperialismo del complesso industriale-militare'. Un fantasma che improvvisamente si materializza nell'opera del governo Berlusconi.

Gli immobili. Questa Finanziaria in realtà realizza un altro dei sogni rivoluzionari: l'assalto alle caserme. È una corsa agli immobili della Difesa per fare cassa, sotto la protezione di una cortina fumogena. La vera battaglia è quella per espugnare un patrimonio sterminato: edifici che valgono oro nel centro di Roma, Milano, Bologna, Firenze, Torino, Venezia. Un'altra catena di fortezze, poligoni, torri e isole in località di grande fascino che va dalle Alpi alla Sicilia. Da dieci anni si cerca di trovare acquirenti, con scarsi risultati: dei 345 beni ex militari messi all'asta dal governo Prodi, il Demanio è riuscito a piazzarne solo otto. Adesso, dopo un lungo braccio di ferro tra La Russa e Tremonti, si sta per scatenare l'attacco finale. Con una sola certezza: i militari verranno sconfitti, mentre sono molti a pensare che a vincere sarà solo la speculazione. All'inizio Difesa Servizi doveva occuparsi anche della vendita degli edifici: la nascente spa a giugno si è presentata alla Borsa immobiliare di Cannes con tanto di brochure per magnificare il suo catalogo. Qualche perla? L'isola di Palmaria, di fronte a Portovenere, gioiello del Golfo dei Poeti affacciato sulle scogliere delle Cinque Terre. L'arsenale di Venezia, con ampi volumi e architetture suggestive, e un castello circondato dalla Laguna. La roccaforte nell'angolo più bello di Siracusa, pronta a diventare albergo e yacht club. La Macao, un complesso gigantesco con tanto di eliporto nel cuore di Roma, palazzi a Prati e ai piedi dei Parioli. Aree senza prezzo in via Monti incastonate nel centro di Milano. Ma il dicastero di Tremonti ha puntato i piedi: proprietà e vendita restano al Tesoro, che le affiderà a società esterne. Con un doppio benefit, secondo le valutazioni del Pd, per renderle ancora più appetibili. Chi compra, potrà aumentare la cubatura di un terzo. E avrà bisogno solo del permesso del Comune: Provincia e Regione vengono tagliate fuori, aprendo la strada a progetti lampo. Questo banchetto prevede che metà dell'incasso vada allo Stato; ai municipi andrà dal 20 al 30 per cento; il resto ai militari. Difesa Servizi però intanto può 'valorizzare' i beni. Come? Non viene precisato. In attesa della cessione, potrà forse affittarli o darli in concessione come alberghi, uffici o parcheggi.

Intanto però gli appetiti si stanno scatenando. E fette della torta finiscono in pasto alle amministrazioni amiche. Con giochi di finanza creativa. A Gianni Alemanno per Roma Capitale sono state concesse caserme per oltre mezzo miliardo di euro. O meglio, il loro valore cash: il Tesoro anticiperà i quattrini, da recuperare con la vendita degli scrigni di viale Angelico, Castro Pretorio, via Guido Reni e di un paio di fortezze ottocentesche ormai inglobate dalla metropoli. Qualcosa di simile potrebbe essere regalato a Letizia Moratti, per lenire il vuoto nelle casse dell'Expo: un bel pacco dono di camerate e magazzini con vista sul Duomo. "Così le logiche diventano altre: non c'è più tutela del bene pubblico ma l'esternalizzare fondi e beni pubblici attraverso norme privatistiche", dichiara Rosa Calipari Villecco, sottolineando l'assenza di magistrati della Corte dei conti o altre figure di garanzia nella nuova spa. Un anno fa i militari avevano manifestato insofferenza per questa disfatta edizilia. Il capo di Stato maggiore Vincenzo Camporini aveva fatto presente che era stato ceduto un tesoro da un miliardo e mezzo di euro senza "adeguato contraccambio". Oggi, come spiega l'onorevole Calipari, "non si sa nemmeno tra quanti anni le forze armate riceveranno i profitti delle vendite". Eppure i generali tacciono. Una volta ai soldati veniva insegnato 'Credere, obbedire, combattere'; adesso il motto della Difesa privatizzata è 'economicità, efficienza, produttività'. La regola dell'obbedienza è rimasta però salda. E con i tagli al bilancio imposti da Tremonti - in un trennio oltre 2,5 miliardi in meno - anche gli spiccioli della nuova holding diventano vitali per tirare avanti e garantire l'efficienza di missioni ad alto rischio, Afghanistan in testa.

Business con logo. Di sicuro, Difesa Servizi Spa sfrutterà le royalties sui marchi delle forze armate. Un business ghiotto. Il brand di maggiore successo è quello dell'Aeronautica. Felpe, t-shirt, giubbotti e persino caschi con il simbolo delle Frecce Tricolori spopolano con un mercato che non conosce distinzioni d'età e di orientamento politico. Anche l'Esercito si è mosso sulla scia: sono stati aperti persino negozi monomarca, con zaini e tute che sfoggiano i simboli dei corpi d'élite. Finora gli Stati maggiori barattavano l'uso degli stemmi con compensazioni in servizi: restauri di caserme, costruzione di palestre. D'ora in poi, invece, i loghi saranno venduti a vantaggio della Spa. Questo è l'unico punto chiaro della legge, che introduce sanzioni per le mimetiche senza licenza commerciale: anche 5 mila euro di multa. "La questione delle sponsorizzazioni è una foglia di fico per coprire altre vergogne. Tanto più che alla difesa vanno solo briciole", taglia corto il senatore Scanu. E trasformare il prestigio delle bandiere in denaro, però, non richiedeva la privatizzazione. La Marina ha appena pubblicato sui giornali un bando per mettere all'asta lo sfruttamento della sua insegna: si parte da 150 mila euro l'anno. Con molta trasparenza e senza foraggiare il cda scelto dal ministro di turno.

Gianluca Di Feo

L'Espresso

lunedì 21 dicembre 2009

[ Corteo No Ponte ] Franco l'hanno ucciso


Segue il comunicato dei compagni e delle compagne dell'università di Cosenza sul corteo No Ponte di ieri a Villa San Giovanni, sulla vergognosa coda della giornata plasmata dall'inefficienza e dall'incapacità delle forze dell'ordine. Dopo il suo energico intervento sul palco, con il quale aveva voluto lanciare un solo messaggio "Solo la lotta paga! Dobbiamo lottare e non cercare scorciatoie!", Franco Nisticò è stato colpito da un malore: palese assenza di qualsiasi struttura di pronto intervento, rivoltante confusione alimentata dalle forze dell'ordine. Dopo tempo prezioso, che è costato la vita a Franco, un'ambulanza è arrivata. Lasciato passare il mezzo, una buona parte della piazza, di pancia, si è riversata contro l'impressionante schieramento di polizia e carabinieri ancora dispiegato, rabbia e insulti contro chi ha fatto pressione come una morsa durante tutto il corteo e poi non è stata in grado di far arrivare un'ambulanza per salvare la vita a Franco, ma ha fatto solo confusione negli improvvisati soccorsi. La tensione è salita altissima, la polizia in una decina di secondi si è ritirata dalla piazza, inseguita dai manifestanti. Ciao Franco.

Ieri, 19 dicembre, migliaia di persone hanno percorso le strade di Villa San Giovanni per manifestare la loro contrarietà al ponte. Un corteo che esprimeva un solo no, ma tanti si. No al ponte, simbolo di un modello di sviluppo che ha fallito. Tanti Si alla soluzione delle questioni irrisolte nella nostra terra: disoccupazione, precarietà, criminalità, dissesto idrogeologico, abusivismo edilizio. Tutti temi che non fanno parte dell'agenda politica di una classe dirigente lontana dai bisogni reali del territorio. Proprio quel giorno è stato possibile constatare, ancora una volta, la drammatica verità delle nostre ragioni: l'obsolescenza del sistema di viabilità regionale, la totale inefficienza del sistema sanitario e l'inesistenza dei servizi pubblici primari. Abbiamo visto con i nostri occhi quanto sia precaria la vita stessa nella nostra terra.

Prima di diventare l'ennesima vittima di questa precarietà, anche Franco stava esprimendo dal palco la propria rabbia e la propria indignazione rispetto a tutto ciò, e la sua emozione nel vedere tanti giovani presenti e attivi nella lotta. Riteniamo inaccettabile quello che è successo a Cannitello. Non si può leggere il lutto che ci ha colpito come una semplice fatalità. Crediamo che questa morte poteva essere evitata, crediamo che questa morte doveva essere evitata; così come crediamo che ci siano dei responsabili a questo OMICIDIO! Proprio Franco, quel compagno che da anni si batteva per la messa in sicurezza della SS 106, quel Compagno che lottava affinché non ci fossero altre giovani vittime su quella che è stata ribattezzata "la strada della morte", ha pagato con la vita il prezzo della propria lotta! Era questo il concetto di sicurezza per il quale Franco si batteva: sicurezza come tutela della vita!

Le misure di "ordine pubblico e sicurezza" messe in atto da prefettura e questura, invece, si fanno espressione dell'arroganza di uno Stato che preferisce salvaguardare l'integrità di vetrine e negozi piuttosto che la vita stessa di una persona, di un manifestante, di un Compagno. Ci trattano come se fossimo della belve feroci da controllare, da seguire, da addomesticare, da reprimere, da uccidere, o peggio... da lasciare morire. Chi ci controlla, ieri, si è preoccupato di far alzare elicotteri in cielo, di pattugliare lo stretto con motovedette, di far calpestare le strade dagli anfibi militari, di portarsi dietro mezzi blindati, lacrimogeni e idranti, ma non si è curato minimamente di predisporre un servizio di pronto intervento medico, di nient'altro che vada al di là del "protocollo militare". Ci chiediamo perché in una manifestazione nazionale non siano state garantite e disposte le misure minime di soccorso medico. Non erano presenti ambulanze nel momento d'emergenza, così come invece era previsto. Le "forze dell'ordine" non sono state in grado di gestire la situazione facilitando le operazioni di soccorso e la confusione è stata contenuta solo ed esclusivamente grazie al "buon senso" dei manifestanti. Non possiamo fare a meno di pensare che, in quel momento, sarebbe stata sufficiente la presenza di almeno un'ambulanza per evitare questa tragedia, per evitare di perdere un altro Compagno.

Si perché Franco era questo: un Compagno! Non era semplicemente come molti giornali scrivono: un esponente del "Comitato per l'SS 106". Battersi per l'ammodernamento della "statale della morte" è stata solo l'ultima parte del suo lungo percorso di lotte. Franco era un antirazzista, uno di quelli che tra i primi, sia come cittadino che come sindaco, si è battuto per l'integrazione della comunità kurda a Badolato, ha accolto ed aiutato chi era in difficoltà, consapevole che la solidarietà umana non può essere subordinata ad un permesso di soggiorno. È stato un sindacalista attivo nelle lotte per il lavoro e la dignità della nostra gente. Uno di quelli che non si tira mai indietro, uno di quelli convinti che siamo noi a scrivere la nostra storia nelle piazze e nelle strade, con le nostre mani e le nostre menti. Uno di quelli abituati ad urlare la propria degna rabbia. Franco Nisticò è stato e sarà sempre uno di noi!

Le compagne ed i compagni dell'UniCal

giovedì 17 dicembre 2009

Renault condannata per suicidio dipendente "Troppo lavoro. L'ha ucciso lo stress"


Il tribunale di sicurezza sociale di Nanterre accusa l'azienda di "negligenza ingiustificabile"
La vedova: "Un segnale per le imprese che sacrificano ogni cosa sull'altare del profitto"
Renault condannata per suicidio dipendente
"Troppo lavoro. L'ha ucciso lo stress"
Alla France Telecom si sono tolti la vita 25 tecnici
dopo la ristrutturazione della compagnia e i tagli al personale.

PARIGI - La Renault è stata condannata per il suicidio di un suo ingegnere. Antonio B. è stato ucciso dall'eccessivo stress lavorativo. Tre suoi colleghi del centro progettazione della casa automobilistica si sono tolti la vita. Dopo i recenti suicidi per i tagli al personale della France Telecom, la sentenza sulla causa intentata dalla vedova dell'ingegnere della Renault potrebbe aprire la strada a una serie di procedimenti contro le aziende che impongono ritmi di lavoro troppo duri. "Spero che sia un segnale forte per tutte quelle imprese che sacrificano ogni cosa sull'altare del profitto", ha commentata la moglie di Antonio B.

Da Citroen a France Telecom, sono numerose le grandi imprese francesi che negli ultimi mesi sono state accusate dai sindacati di aver indirettamente spinto al suicidio alcuni dei propri dipendenti, con sistemi manageriali aggressivi o trattamenti degradanti. E ora potrebbero essere trascinati in tribunale dalle famiglie.

Antonio B. aveva 39 anni, una moglie e un figlio. Il 20 ottobre 2006 si gettò dal quinto piano del Centro tecnologico della Reanult di Guyancourt, alle porte di Parigi. "Per raggiungere gli obiettivi che gli avevano fissato - ricorda la vedova, Sylvie - mio marito lavorava tutte le sere, tutte le notti, tutti i weekend. Negli ultimi mesi dormiva solo due ore per notte e mi diceva continuamente che comunque non sarebbe mai riuscito a raggiungere gli obiettivi dell'azienda". Anche i colleghi della vittima erano preoccupati. Ricordano che Antonio era "inquieto e ansioso, ed era anche dimagrito", come è scritto nella sentenza, ma i superiori "non avvertirono il medico del lavoro".

Nel 2007 già la Cassa primaria di assistenza sanitaria dell'Hauts-de-Seine aveva riconosciuto il suicidio di Antonio B. come "incidente sul lavoro". Ora la sentenza del tribunale di sicurezza sociale (Tass) di Nanterre, secondo cui "la Renault avrebbe dovuto essere consapevole del pericolo al quale il dipendente era esposto". "Una negligenza ingiustificabile", scrivono i giudici che hanno fissato la massima indennità per la vedova e il figlio, ancora minorenne.

Renault ha un mese di tempo per presentare ricorso: "Esamineremo in dettaglio il dossier", dicono i legali della casa automobilistica. Ma la serie preoccupante di suicidi ha già spinto l'azienda a riorganizzare radicalmente i propri centri ingegneristici, riducendo l'orario di lavoro e istruendo il personale su come individuare i colleghi in difficoltà. Lo stesso amministratore delegato Carlos Ghosn, durante un'assemblea generale, ha ammesso che tra i dipendenti di Guyancourt si registravano "tensioni oggettivamente molto forti" e che sarebbe necessario "identificare le situazioni nelle quali i collaboratori sono lasciati soli di fronte ai problemi".
Repubblica.it

mercoledì 16 dicembre 2009

Tanti SI un solo No. NO PONTE 19/12/2009

Il 19/12/2009 manifestazione a Reggio Calabria per dire No al ponte dello stretto.

martedì 15 dicembre 2009

E adesso, caccia alle streghe


E adesso è caccia alle streghe: i mandanti, gli istigatori, i cattivi maestri, i creatori del clima di odio e chi più ne ha più ne metta. Il gesto di un poveraccio che ha perso la testa (non un cospiratore clandestino ma un disperato che non ha niente da perdere se non la propria vita) viene preso a pretesto dagli uomini di un regime in crisi per cercare un po' di tranquillità attraverso un giro di vite - in nome della sicurezza e del "raffreddiamo il clima politico" - contro chiunque osi criticarli, si tratti di centri sociali, giornali, esponenti politici, organizzazioni sociali o collettivi di lavoratori.
Già si parla di chiudere o sottoporre a controlli stringenti i siti internet su cui sono stati espressi apprezzamenti positivi nei confronti dell'aggressore Massimo Tartaglia. I cinquantamila "fan" raccolti in poche ore su Facebook fanno impressione, e testimoniano di quanta rabbia e risentimento contro Silvio Berlusconi siano maturati nel corpo sociale di questa sventurata Italia: logico che gli uomini del premier, l'immagine fisica del quale è stata violentemente ridimensionata domenica sera, vogliano oscurare quanto prima i luoghi dove più esplicitamente l'immagine morale di "leader amatissimo" viene messa in discussione.
Sono momenti tesi e difficili. Gli esponenti politici (Di Pietro, Bindi e pochissimi altri) che hanno osato in qualche modo sottrarsi al coro di solidarietà politica al premier (altra cosa è la pietà umana, che ciascuno si gestisce come crede) sono già oggetto di un'aggressione mediatica tremenda e indicati direttamente come "mandanti" del "terrorista"; ma del resto, dal governo viene detto chiaro e tondo che nella categoria degli ispiratori della violenza rientrano anche i magistrati, i partiti, "certa stampa" e via dicendo - Fini incluso. Tutti coloro, insomma, che per qualche motivo hanno da ridire col governo e ai quali già si stava cercando da tempo il modo di mettere un bavaglio stretto. All'opera di silenziamento partecipano attivamente anche molti dei silenziandi, chiedendo non si sa bene a chi di abbassare i toni - come se questo servisse a qualcosa oltre che a dar corpo alle accuse che il governo rivolge contro di loro.
E adesso? Berlusconi si chiede "perché tanto odio" e probabilmente è sinceramente sorpreso di dover constatare a proprie spese di non essere amato quanto credeva. Noi speriamo che questa brutta avventura lo renda più consapevole del fatto che il paese è ridotto a un recinto pieno di furore e ostilità, e gli faccia comprendere che su questa strada, che lui per per primo porta la responsabilità di aver indicato al paese, il peggio - per tutti - deve ancora venire.

tratto da Il Manifesto del 14 dicembre 2009
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Radio Padania (Lega Nord): Picchiamo i ragazzi dei centri sociali per dare l'esempio:

domenica 13 dicembre 2009

O mia bella Madunina


RITMO POLITICO

noi per loro siamo questi:

... ma loro per noi chi sono?

sabato 12 dicembre 2009

1979-2009: ricordiamo Berto


Berto, Roberto Pautasso era un compagno della Valle di Susa, dove faceva parte dei collettivi autonomi valligiani, in particolare del Centro di Documentazione di Condove. Era nato ad Avigliana il 9 agosto del 1958 in una famiglia operaia; la madre malata di sclerosi multipla, due fratelli e una sorella, tutti abitavano alle case popolari di Condove.

Berto iniziò a lavorare a 14 anni come operaio generico nelle boite della valle e si diede anima e corpo alla politica fin da subito. Militò attivamente nel movimento dell’Autonomia da subito, sia in valle che a Torino, proponendosi, grazie a generosità e capacità, come punto di riferimento delle lotte e delle avanguardie valsusine. Insieme ad altri compagni e compagne aprì il centro di documentazione di Condove, sede del collettivo operai e studenti, gruppo che si distinse in Valle come collettivo autonomo radicato nelle lotte sociali. Senza Padroni fu il giornale che i compagni e le compagne producevano.

Roberto Pautasso è descritto come un compagno propositivo e capace di costruire intorno a se organizzazione. Spinse sempre se stesso e i compagni e le compagne intorno a se al lavoro territoriale, al radicamento sociale, e negli anni 70’ ciò significava un impegno totale della propria vita, facendosi coinvolgere completamente.
Fu arrestato una prima volta per qualche mese nel 1978 insieme ad altri tre compagni, perché sorpreso ad affiggere manifesti che chiedevano la liberazione di alcuni compagni dell’autonomia arrestati.

Fu ucciso davanti ad una fabbrica a Rivoli il 14 dicembre del 1979 in uno scontro a fuoco con i Carabinieri. Il Pci e la stampa borghese tentarono di gettare fango su una figura politica ritenuta scomoda dai detentori dell’ordine. Sta di fatto che la scomparsa di Berto fu prematura e va compresa secondo i rapporti di forza che gli anni 70’ conoscevano. Non è importante sapere cosa avrebbe fatto Berto se quel proiettile non lo avesse fermato, di sicuro sarebbe stato uno di noi, anche oggi, in questo tempo, e a 30 anni di distanza, per lui alziamo i nostri pugni e le nostre bandiere al cielo.

Berto vive e lotta insieme noi.

I compagni e le compagne autonomi/e di Torino e della Val Susa


Domenica 13 dicembre, alle h 15.30, ricorderemo Berto al cimitero di Condove, deponendo un mazzo di fiori in sua memoria.

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Un ricordo di Berto letto al suo funerale e pubblicato in Progetto Memoria. Gli sguardi ritrovati (ed. Sensibili alle Foglie):


Dedica a Berto



“Berto un compagno

Berto un proletario

Berto che amava i compagni

Berto innamorato di tutte le compagne

Berto che adorava Graziella

Berto che si faceva amare e si faceva odiare

Berto che non ha mai avuto una vita facile

Berto goloso di cioccolata

Berto costretto a fare i lavori più schifosi

Berto che non è riuscito a mettersi i denti , ad avere gli occhiali, a prendere la patente

Berto che ha lavorato nelle boite più squallide, nei posto più duri

Berto scatenato, ribelle, selvatico

Berto un comunista

Berto che adorava, giocava, bisticciava con Giulio e Barbara

Berto presente ai picchetti

Berto al bar di Mario

Berto come una furia sul campo da gioco

Berto che lavorava alla Bto dove morivano i ragazzini di 15 anni, avvelenati dalle esalazioni

Berto di nuovo disoccupato perché il padrone fallisce

Berto che ciclostilava, volantinava, discuteva e si incazzava

Berto che saltava, che correva, che ballava

Berto mai fermo

Berto che esce dal Pci per un’ analisi precisa, non espulso come certi avvoltoi ora dicono

Berto che giocava a carte

Berto che distribuiva volantini in costume da bagno davanti alla Magnadine, per dimostrare che non aveva nulla da nascondere

Berto muratore alla Vertek

Berto che aspetta ancora adesso i soldi dell’impresa

Berto di nuovo disoccupato

Berto davanti alle fabbriche

Berto crudo

Berto duro, Berto con gli studenti

Berto che ha fatto della militanza comunista la sua vita

Berto che è morto perché voleva vivere”

da: infoaut

venerdì 11 dicembre 2009

Punto e a capo. Il libro intervista al Subcomandante Marcos


E' uscito finalmente in Italia "PUNTO E A CAPO. Presente, passato e futuro del movimento zapatista", la traduzione del libro "CORTE DE CAJA. Entrevista al Subcomandante Marcos", arrivato alla sua quarta ristampa in Messico e già tradotto in tedesco, che comprende una lunga intervista realizzata in due sessioni dalla giornalista messicana Laura Castellanos alla più nota figura e portavoce dell’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale), il Subcomandante Insurgente Marcos a 7 anni dall’inizio dell’esperimento autonomo delle Juntas de Buen Gobierno e a 4 anni dal lancio dell’iniziativa politica della Otra Campaña, proposta come alternativa dal basso al sistema politico fondato sulla rappresentanza dei partiti tradizionali.

Il libro rappresenta un bilancio a 7 anni dall’inizio dell’esperimento autonomo delle Juntas de Buen Gobierno e a 4 anni dal lancio dell’iniziativa politica della Otra Campaña, proposta come alternativa dal basso al sistema politico fondato sulla rappresentanza partitica.
Dal 18 novembre è infatti nelle librerie PUNTO E A CAPO. Presente, passato e futuro del movimento zapatista, edito da Edizioni Alegre con oltre cento pagine di dialoghi realizzati dalla giornalista messicana Laura Castellanos con Marcos, alias Delegado Cero, e alcune foto inedite, scattate dal fotografo messicano Ricardo Trabulsi, del Subcomandante sullo sfondo del caracol de La Garrucha in Chiapas. L’ottima traduzione dallo spagnolo all’italiano è curata da Fabrizio Lorusso, accademico e poeta italiano da otto anni a Città del Messico.
In questa intervista Marcos fa un corte de caja, un bilancio, di quanto s’è perduto e quanto è stato conquistato a partire dalle origini del movimento (in realtà dalla sua preistoria) fino alla data dell’intervista e oltre parlando dei dilemmi che decideranno il suo futuro. Non si tratta solo di quelli riguardanti l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale ma anche di quelli sulla sua persona e la sua leadership. “Se pensassi di cambiare qualcosa sarebbe questo: non essere stato così protagonista nei media”, afferma.
L’origine del libro risale a un reportage apparso sulla rivista messicana Gatopardo all’inizio del 2008, intitolato “Ritratto radicale”, di Laura Castellanos. Punto e a capo raccoglie due interviste rilasciate nella capitale messicana e nella località La Garrucha, Chiapas, nell’autunno del 2007. In queste Marcos riflette sulle ragioni dell’isolamento del movimento, della sua rottura con la classe politica e l’intellighenzia progressista del paese e sull’avanzata della strategia controinsurrezionale nei confronti delle comunità zapatiste.
Marcos rivisita la sua storia personale e quella dell’EZLN rispondendo qui alle critiche che gli sono state rivolte da più parti negli ultimi anni. Parla anche, per la prima volta, di alcuni presidenti latinoamericani come Fidel Castro, Hugo Chávez, Evo Morales, Cristina Fernández de Kirchner, delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), la più antica guerriglia del continente, e colloca il movimento del Chiapas nelle coordinate della politica continentale, prendendo posizione rispetto a temi capitali, come la relazione dell’EZLN con atre organizzazioni armate. Inoltre apre uno spiraglio per parlare di se stesso, della sua persona, in un tono quasi confidenziale, con l’ironia e lo humour che da sempre lo caratterizzano.
L’intervista rappresenta anche un modo per avvisare i lettori: “l’EZLN si trova isolato e vulnerabile, mentre sta avanzando la strategia antinsurrezionale contro le comunità zapatiste”. Sullo sfondo della ricostruzione storica del movimento zapatista, che ha fissato la difesa dei diritti indigeni nell’agenda politica del mondo, è questo il messaggio che il Subcomandante Marcos ha voluto comunicare al lettore. Un avvertimento che assume oggi speciale rilevanza, soprattutto alla luce degli avvenimenti di questi mesi: la scarcerazione di buona parte dei colpevoli della strage di Acteal (22 dicembre 1997) e la pubblicazione dei documenti ufficiali che coinvolgono il governo federale della strategia paramilitare contro la ribellione indigena.
Certo, sentir parlare Marcos attraverso la pagine di Punto e a capo sembra strano, proprio oggi che l’EZLN tace. Ma forse, in realtà, è un ottimo spunto per riprendere un discorso mai concluso e che, probabilmente, ripartirà in modo acceso il prossimo anno, quel 2010 che sarà il centesimo anniversario della Rivoluzione messicana.
Da segnalare che i ricavi ottenuti dalla vendita del libro serviranno per sostenere economicamente il movimento zapatista.

da: carmillaonline

giovedì 10 dicembre 2009

Torino: 19 Dicembre-corteo contro sgomberi e repressione

In risposta ai continui attacchi delle istituzioni e dei media contro tutte le realtà occupate, scendiamo in piazza per dire basta a un regime sempre opprimente e una repressione dilagante, in cui democrazia e libertà si traducono in C.I.E. e militarizzazione delle città. La tanto invocata sicurezza crea un clima di terrore, nel frattempo le persone
continuano a morire: sul lavoro per un ricatto sociale che ci costringe alla sopravvivenza, nelle carceri in condizioni disumane, nelle strade per mano della polizia. In nome del progresso e dell’economia la nostra salute è attaccata ogni giorno da troppe nocività e la nostra mente viene manipolata dai media.

PER LA RIAPPROPRIAZIONE E LA DIFESA DEGLI SPAZI AUTOGESTITI E LA LIBERTA’ DI TUTTI GLI INDIVIDUI .

Tra gli antagonisti cresce il tam tam per il corteo nazionale del 19 dicembre a Torino, indetto proprio per protestare contro la politica di sgomberi decisa da Comune, prefettura e forze dell'ordine dopo l'assalto al banchetto della Lega Nord in piazza Castello a ottobre.

PER LA RIAPPROPRIAZIONE E LA DIFESA DEGLI SPAZI AUTOGESTITI E LA LIBERTA’ DI TUTTI GLI INDIVIDUI .

Appuntamento Sabato 19 Dicembre 2009
Ore 14:00 davanti alla Stazione Ferroviaria di di Torino Porta Susa

domenica 6 dicembre 2009

I Nuovi sfruttati, I lavoratori della GDO (supermercati, ipermercati, discount,ecc.)


Tutti vediamo le pubblicità martellanti delle catene della GDO (grande distribuzione organizzata), non tutti sanno come vengono trattati i dipendenti di queste catene.
Per semplicità, riporto sotto la denuncia di qualche anno fa di alcuni dipendenti LIDL.
Denuncia ripresa da diversi blog (tra cui Beppe Grillo) e da testate giornalistiche.
Pare che il tempo non abbia modificato certi sistemi di sfruttamento ne in Lidl, ne in altre catene della GDO ( LD, AUCHAN, IPERCOOP, ecc. ecc.)a sentire le testimonianze nei vari blog dai dipendenti.
Ripeto, la lettera di denuncia sotto, è di un dipendente Lidl, ma potrebbe essere di qualsiasi dipendente della GDO:

Lidl, il low cost pagato dal lavoro
L'hard discount europeo sul modello Wal Mart: prezzi stracciati alle spese dei dipendenti Ottanta ore a settimana in filiale, compresi i sabati e le domeniche. Lo scarico dei bancali, le pulizie, i turni iper-flessibili. Capi e cassiere spremuti al massimo, e i prezzi vanno giù. Il sindacato europeo e il blog di Beppe Grillo
Antonio Sciotto
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
19 settembre 2006
«Non cuciamo i palloni e siamo tutti maggiorenni, ma sopportiamo soprusi e condizioni di lavoro non certo degne di un paese che ha la pretesa di far parte dell'Unione europea: il monte ore mensile, 16 ore al giorno per 28 giorni, è di 448 ore, per una base oraria di 3,48 euro». Sì, proprio 16 ore di lavoro al giorno: si conclude così la lettera di Emanuele D, un giovane quadro della Lidl, pubblicata nel luglio scorso sul blog di Beppe Grillo ( beppegrillo.it) e che ha avuto una straordinaria «fortuna». Ben 2907 risposte alla data di ieri: tantissimi colleghi della Lidl, delle grandi catene di distribuzione e non solo, che condividono la stessa condizione di super-lavoro e precarietà. L' hard discountgenere Wal Mart - prezzi stracciati e lavoro ai ritmi della schiavitù - ha ormai un solidissimo esponente europeo: si chiama Lidl, è figlio di una potente famiglia del land tedesco del Baden Wuettenberg, gli Schwarz, e si è diffuso a macchia d'olio in venti paesi europei. Tanto che, allo stato attuale, il colosso dei supermercati low cost conta 100 mila dipendenti e 6 mila punti vendita nel continente, dal Portogallo alla Polonia, dalla Finlandia all'Italia. Alla cassa stanno soprattutto le donne - con contratti part time e una retribuzione media mensile di 600 euro al mese. Per i posti di comando, i quadri e i dirigenti, la Lidl seleziona principalmente uomini, perlopiù laureati, che attraverso un durissimo training di 10 mesi vengono portati ad accettare la «filosofia del terrore»: il sottoposto lavora solo se lo maltratti, devi assicurarti che non rubi, e se protesta o si iscrive al sindacato devi fare di tutto per metterlo fuori.
Sarebbe però erroneo descrivere i quadri come «privilegiati»: è vero che guadagnano dai 1300 euro in su e hanno l'auto aziendale, ma sono proprio loro a essere «triturati» per primi dal sistema Lidl. Lavorano il doppio delle ore da contratto (70-80 ore settimanali, senza percepire per questo un doppio salario), sono costretti a scaricare i camion, fare le pulizie e sostituire le cassiere quando manca il personale. Contro gli abusi del «sistema Lidl», ormai collaudato e uniforme in tutta Europa, si è attivato il sindacato tedesco Ver.di, lanciando la «campagna internazionale Lidl». Nel 2004 è stato pubblicato il primo «Libro nero», con le storie dei lavoratori tedeschi. Quest'anno è uscito il «Libro nero europeo», con le vicende dei 20 paesi in cui l' hard discountsi è diffuso, Italia compresa. Il manifestosi è recato a Berlino per raccontare la campagna Lidl, e nei prossimi numeri di questa inchiesta-reportage riferiremo dei lavoratori europei e della strategia sindacale dei Ver.di. Per questa prima puntata, abbiamo scelto di dialogare con i quadri e le cassiere italiane.
«Mangio, dormo o mi lavo?»
Prima di entrare in una filiale della Lidl, e parlare con i lavoratori, dobbiamo riferire dei recenti controlli avviati dall'ispettorato del lavoro su alcuni punti vendita: in particolare, gli ispettori si sono recati negli hard discountdell'area Piemonte-Liguria, dove hanno riscontrato - per quel che ci è dato sapere da alcune testimonianze dei lavoratori - irregolarità sulle liste presenza. Un punto non affatto secondario o di rilevanza solo formale: la Lidl, infatti, risparmia proprio sulla «presenza» dei lavoratori nei punti vendita. Nel senso che li mantiene quasi sempre sotto organico, obbligando i dipendenti di livello più alto e i quadri intermedi (capifiliale e capisettore) a lavorare molte più ore di quelle retribuite. Anche sulle cassiere si registrano casi di straordinari non retribuiti, ma i loro orari sono in genere più rigidi e gli abusi non sono abnormi come nel caso dei superiori. Piuttosto, le addette alla cassa subiscono un altro tipo di sopruso: i turni, che per il contratto del commercio dovrebbero essere fissi, vengono cambiati ogni due settimane o addirittura una; spesso anche di giorno in giorno. Così non puoi mai organizzarti la vita fuori dal negozio, né trovarti una seconda occupazione, devi essere sempre a disposizione: una sorta di «lavoro a chiamata».
La prima testimonianza ci viene da uno dei gradini più alti nella piramide Lidl, un quadro. Usiamo un nome di fantasia, Luca, per tutelarlo: ha lavorato 18 mesi per la Lidl, è stato licenziato e adesso è in causa per il reintegro. E' entrato nel gennaio 2005 come «caposettore» dopo una serie di colloqui, per occuparsi di 4 filiali nell'area torinese (ma a un certo punto ne ha avute anche 7 da seguire). Il suo ruolo avrebbe dovuto consistere nell'organizzare e monitorare il lavoro in tutte le filiali: «Al colloquio mi hanno detto che avrei lavorato 38 ore a settimana, ovvero il full timedel contratto commercio. Ma subito misero le mani avanti: per il tuo ruolo di responsabilità - dissero - ti chiediamo comunque una "certa elasticità"». Mai Luca avrebbe potuto immaginare che quella «certa elasticità» si sarebbe trasformata in una totale dedizione (fisica e mentale) alla Lidl: orario di lavoro ininterrotto dalle 6,30 del mattino alle 22,30. Quasi sempre dal lunedì al sabato (invece dei cinque giorni da contratto), spesso anche la domenica, giornata dedicata all'inventario. Certo, lo stipendio è di 29 mila euro lordi l'anno, c'è l'auto aziendale, ma cosa te ne fai di un salario decente se non hai tempo per te stesso? E le mansioni? Fare tutto: dallo scaricare pesanti cassoni all'allestimento del banco frutta, dalle pulizie alla sostituzione cassa quando la cassiera finisce il turno. Moltiplicato per 4-5 locali, spesso distanti centinaia di chilometri l'uno dall'altro. Per i primi 6 mesi, in formazione, Luca viene affiancato a diversi capifiliale. «Lavoravano tutti molte più ore di quelle da contratto - racconta - ma nessuno aveva il coraggio di protestare».
Così Luca continua a lavorare circa 16 ore al giorno, spesso senza avere il tempo neppure di mangiare un panino: nei primi tre mesi perde 5 chili, vede 20 capisettore dimettersi «per disperazione». Le domeniche erano quasi sempre regalate all'azienda, tanto che una volta si è trovato a fare 20 giorni consecutivi senza uno di riposo. Spesso veniva svegliato dai capi nel cuore della notte, per improvvise assenze di capifiliale: da Genova doveva così spostarsi a Torino, fare lì l'intera giornata di lavoro, e tornare poi in nottata a Genova, per riprendere l'indomani all'alba. «Arrivato in albergo, ogni sera, mi dicevo: mangio, dormo o mi lavo?». Questi ritmi disumani non figurano affatto sulle liste presenze: i capisettore segnano la «p» di presenza per commesse e capifiliale (loro sottoposti), senza indicare le ore lavorate. Per i capisettore, come Luca, la lista presenze è in mano ai capiarea (superiori con circa una quarantina di negozi), e lui afferma di non averla mai controfirmata. Una notte Luca finisce al pronto soccorso, per il forte stress: gli consigliano di fermarsi perché quei ritmi (e ha solo 28 anni) possono avere serie conseguenze sulla sua salute. Non si ferma, ma sarà la Lidl a liberarsi di lui: per una risposta ritenuta «di insubordinazione» a un capoarea, riceverà di lì a poco la lettera di licenziamento.
Impari tutto al master Lidl
I ritmi disumani di lavoro, e il licenziamento finale, sono capitoli comuni alla storia di Emanuele D., l'ex caposettore Lidl che ha dato origine al blog di Grillo. C'è però una differenza di rilievo: la sua formazione, più recente, è avvenuta a Verona, dove i quadri e dirigenti Lidl frequentano un apposito master: «Lì - spiega Emanuele - ti fanno un lavaggio del cervello: ti spiegano che devi essere spietato con gli addetti vendita e le cassiere, e per tutto il corso della formazione in campo i superiori ti insultano e ti maltrattano, rimproverandoti continuamente per i risultati che non hai ottenuto. Il messaggio è semplice: ti tratto così, poi tu farai lo stesso con i sottoposti». I ritmi di lavoro vengono misurati con delle vere e proprie tabelle di produttività, dividendo il fatturato per le ore lavorate: chi si trova sotto i livelli minimi, deve prepararsi a un fuoco di fila di rimproveri e minacce. «Accade anche per le cassiere - spiega Felicita Magone, addetta vendita ad Albenga e delegata Cgil - Si divide l'incasso per le ore lavorate. Oltre a essere sempre sotto pressione, non possiamo programmarci la vita, o cercare un altro lavoro per integrare uno stipendio che si aggira sui 600 euro: l'orario ci viene comunicato ogni due settimane, e cambia sempre. In molte filiali gli orari cambiano ogni settimana». Le donne sono penalizzate: pochissime arrivano a diventare capofiliali, restano perlopiù al livello di cassiera. «Un capoaerea giustificò questa differenza di genere spiegando che "per una donna è complicato essere già pronta e truccata alle 6,30, quando deve aprire una filiale"», conclude Felicita.
Walter Canta, capofiliale veneto, come Luca ha fatto una bella «cura dimagrante» stile Lidl: in soli dieci mesi di lavoro ha perso ben 8 chili, passando da 66 a 58 chili di peso. Walter racconta più da vicino il lavoro del negozio, perché il capofiliale ha la responsabilità di un solo punto vendita. Anche lui ha fatto 80 ore in media a settimana, sabati e domeniche inclusi, con lo «straordinario» tutto compreso nei cento euro lordi di «superminimo» erogati ogni mese. Ha lasciato perché ha contratto un'infiammazione alle spalle, a causa della «sbancalatura»: lo scarico, a partire dall'alba, di cassoni pesanti dai 10 ai 20 chili. E' un lavoro quotidiano che tocca a tutti i capifiliale e assistenti, così come le infiammazioni alle spalle, molto diffuse. «Per pranzo avevo a stento il tempo di mangiare un cracker, prendendolo dalla tasca, mentre scaricavo - racconta - Contavano le volte che andavo in bagno, ma nessuno protestava: se sbagli ti insultano violentemente». «Non è stato facile lasciare un posto a tempo indeterminato - conclude - oggi 1300 euro al mese assicurati sono una chimera. Ma tra l'infiammazione alla spalla, lo stress e il clima da terrore non ho retto più».

venerdì 4 dicembre 2009

Spacciatori d'aborto in metrò


Di quanti mesi sei? Ce l’hai venticinque euro?». Cinque del pomeriggio, attorno alla Stazione Centrale di Milano e nei sotterranei della metropolitana non serve sprecare molte parole. Basta accarezzarsi la pancia e accennare a un «problema». Inutile cercare visi loschi, imparare codici particolari o segnali stabiliti. Per agganciare chi possa offrirti la «soluzione» e bloccare la tua gravidanza è sufficiente camminare un po’, guardarti attorno, fermare le persone che sembrano aspettare qualcosa o qualcuno. Poi ti sfiori il ventre e spieghi: «Sono incinta. Puoi aiutarmi?». E le offerte arrivano, pastiglie da prendere a manciate o indirizzi di medici compiacenti: «bravi, italiani, fanno tutto a casa loro». Nel centro di Milano, in mezzo alla gente, in un pomeriggio qualsiasi.

La soluzione più economica si chiama «Cytotec», un farmaco contro l’ulcera che preso a dosi massicce provoca le contrazioni fino a provocare l’aborto. In farmacia, la confezione da trenta costa meno di quindici euro. Qui ne vogliono venticinque per cinque pasticche che passano di mano in mano, ma se sei clandestina e non hai documenti da mostrare all’ospedale le alternative non sono poi molte. Ma anche per le altre, le «regolari», magari italiane, la tentazione può essere forte.

La paura
«Le donne che abortiscono lo fanno per disperazione - dice Basilio Tiso, direttore sanitario della clinica Mangiagalli di Milano -. Le italiane, soprattutto, scelgono di farlo perché non arrivano a fine mese per colpa della crisi, hanno mariti con lavori precari oppure sono loro a essere al primo impiego e hanno paura di essere licenziate. Quelle che ricorrono all’aborto clandestino sono rare, ma ci sono: perché sono minorenni, perché hanno superato il limite dei tre mesi di gestazione consentito per legge, oppure per via dei tempi lunghi delle liste d’attesa in ospedale». Una volta, per abortire bastava una settimana, spiega Mauro Buscaglia, primario di ostetricia e ginecologia all’ospedale San Carlo, «ma oggi, con l’aumento dei medici obiettori, non è facile formare l’équipe per eseguire l’intervento. E intanto il tempo passa, di settimane ce ne vogliono quasi due. Per le donne straniere, poi, il problema è ancora più serio: da quando la clandestinità è diventata reato, in ospedale preferiscono non entrarci proprio. Hanno paura di essere denunciate anche se da noi, pacchetto sicurezza o no, nessuna è mai stata segnalata. E nessuna lo sarà mai».

Ma chi non ha il passaporto o il permesso di soggiorno non si fida. Così la voce delle pastiglie che fanno tutto da sole si sparge, e molte scendono nei sotterranei della metropolitana. E negli ospedali milanesi si moltiplicano i ricoveri dopo gli aborti dichiarati «spontanei»: «Gravidanze interrotte naturalmente» dicono le gestanti. Ma, sempre più spesso, le loro parole sono smentite dai medici che vedono arrivare al pronto soccorso e nei reparti donne con tipiche perdite di sangue da Cytotec. La crescita è più evidente nelle città del Nord: gli aborti spontanei in Lombardia sono passati da 10.779 nel 1997 a 12.151 nel 2006, anno degli ultimi dati Istat. E il trend, dicono gli operatori, sembra in netto aumento. Il San Carlo, negli anni, è diventato il punto di riferimento degli immigrati. È qui che la settimana scorsa Ana Maria, brasiliana di trentadue anni, ha rischiato la vita: «È arrivata al pronto soccorso con la febbre alta, la placenta semistaccata e una grave emorragia - racconta Buscaglia - Aveva interrotto la gravidanza con ventisette pastiglie di Cytotec, l’abuso del farmaco è stato devastante. Ma Ana Maria, per noi, non è un caso isolato: sono in molte che ci raccontano di aver comprato le pillole al mercato nero, e poi di non aver saputo come e quante prenderne». E tra queste non mancano le italiane.

La diffidenza
Alle cinque e mezzo, la fermata della metro di Piazzale Loreto è un via vai di giovani, coppie, adulti e bambini in carrozzina. Appoggiate a una ringhiera, due ragazze con i capelli lunghi e scuri, dai tratti sudamericani, parlano nella zona di passaggio, non troppo distante dai tornelli dove si timbra. Più giù, al binario, dietro la linea gialla, la gente in piedi o seduta sulle panchine ha l’aria di aspettare nient’altro che il treno.

Dieci minuti più tardi, le due ragazze sono ancora lì e allora provi, ti apri il cappotto, appoggi una mano sulla pancia e ripeti il ritornello: «Sto cercando una medicina, ma non ho la ricetta. Potete aiutarmi?». Le due si guardano e una fa un cenno verso il distributore automatico di biglietti: «Se vuoi il Cytotec vai dalla ragazza con la gonna lunga». Pochi scalini e sei da lei, che ti propone: «Vieni con me al campo nomadi. Di quanti mesi sei?». Le rispondi e lei ha già cambiato tono, è chiaro che non si fida: «Ma tu sei italiana, non ce l’hai un medico? No, non posso portarti al campo, sto lavorando», taglia corto, mentre mostra alle persone dove infilare le monete, senza guardarti più. Due fermate di metropolitana e da piazzale Loreto ti trovi alla Stazione Centrale. Nel sottopassaggio ci sono ambulanti che vendono ombrelli colorati, ben disposti su un lenzuolo bianco disteso per terra. In fondo, le scale mobili che portano in superficie. Qui, il fatto che tu sia italiana non fa paura a nessuno.

L’italiano
Vicino ai chioschi accanto alla Centrale, dove si vendono panini e bibite, due donne ferme sul marciapiede si riparano sotto l’ombrello. Si può tentare anche con loro. La più giovane, bella come una modella, con una treccia bionda lunga fino alla schiena, jeans e stivali, ascolta la richiesta d’aiuto mentre con gli occhi segue la mano che si appoggia poco più giù dello stomaco. Poi parlotta con quella accanto, più bassa, più anziana. Un dialogo in una lingua dell’Est. Solo una parola, chiara, netta, si capisce bene: Cytotec. «Ci sono delle pastiglie, ma per te è meglio un dottore. Se non fanno effetto, all’ospedale ci devi correre comunque.

E poi tu sei italiana, non rischi niente. Se vuoi ti do il numero di uno bravo, che non chiede molti soldi. In quattro ore e con 1.500 euro sei come prima. Ti fa una puntura nel braccio, ti schiaccia la pancia. E quando ti svegli è tutto finito». Non sono ancora le sei, è bastata un’ora e mi sono organizzata un aborto.

LA STAMPA.IT

giovedì 3 dicembre 2009

Nessuno spazio ai fascisti e ai razzisti xenofobi. Con ogni mezzo necessario. (Napoli quartiere Materdei)

video non adatti a malati di cuore.

Assalto antifascista a Casa Pound di Napoli (pochi giorni fa).
I fasci costretti a rintanarsi nel loro covo. La furia degli antifascisti è incontrollabile.
parte 1

parte 2

Nessuna agibilità ai fascisti.
Il movimento antagonista, antifascista e antirazzista, apprende con notevole soddisfazione che Casa Pound di Napoli è stata sgomberata. Sarà dopo i fatti dei due video sopra? Ribadiamo nessuno spazio di agibilità a certi individui.

lunedì 30 novembre 2009

IL POTERE DEVE ESSERE OPERAIO

E' notizia di questi giorni che la Fiat vuole chiudere alcuni stabilimenti in Italia a loro dire poco produttivi. Ricordiamo a Marchionne & company e ai vari sindacalisti di turno pagati dai padroni (CGIL CISL E UIL vip vip vi pagano i padroni sulla nostra pelle) che i lavoratori non staranno con le mani in mano. Per rinfrescare la memoria posto sotto un video sulla manifestazione nazionale tenutasi a Torino il 16 maggio 2009 dove Rinaldini (sindacalista Fiom- Cgil) venne buttato giù dal palco dai lavoratori.
Siamo stufi delle solite farse tra padroni e sindacati confederali. Ricordatevi che:
IL POTERE DEVE ESSERE OPERAIO

PD= Tolleranza Zoro


per l'alternativaaaaa

domenica 29 novembre 2009

e balliamo questa taranta- GRANDE SUD


musica e video postati da me, non solo per esprimere musica o video, ma messaggi veri e propri.

giovedì 26 novembre 2009

Ecco perchè i centri sociali danno fastidio alle istituzioni comunali

Sotto potrete vedere tre video che ripercorrono la storia di un centinaio di rifugiati politici (scappati dalle loro terre perchè c'è la guerra), che chiedono invano asilo politico al comune di Torino e come al solito gli viene risposto picche.
Grazie alla determinazione e alla volontà di alcuni compagni dei centri sociali torinesi, queste persone sono uscite dalla marginalità e insieme ai rifugiati lottano affinchè questi ultimi siano trattati da persone. Ricordo che stiamo parlando di gente che è venuta in Italia perchè nei loro paesi c'è la guerra. E' un dovere del nostro Stato accoglierli e dare asilo politico.
Purtroppo molti passi avanti sono stati fatti, ma non è ancora finita.




Ci vogliono morti perchè siamo i loro nemici e non sanno che farsene di noi perchè non siamo i loro schiavi.
Soledad

Lascia la scuola perchè il padre non ha più lavoro


Leggo da Repubblica:
Studente modello di Rovereto costretto ad abbandonare gli studi per mancanza di soldi
Confessa alla preside: "Devo cercare qualcosa per sostenere la mia famiglia. Non ci sono alternative"

TRENTO - Era uno studente modello, ma le circostanze lo hanno costretto a lasciare la scuola: il padre ha perso il lavoro e in famiglia servono soldi. Succede a Rovereto, in Trentino, dove la preside dell'istituto superiore frequentato dal ragazzo ha deciso di rendere pubblica la storia. A 17 anni, il diritto allo studio ai tempi della crisi deve fare i conti con la dura realtà dei grandi.

Nel tardo pomeriggio è arrivato il commento del ministero della Pubblica Istruzione. Secondo quanto si è appreso, il dicastero di viale Trastevere sta facendo delle verifiche sulla vicenda e sta cercando di contattare la famiglia del giovane. Il ministro Gelmini ha dichiarato di essere disponibile ad incontrare il ragazzo, nell'obiettivo di trovare una soluzione per aiutarlo e consentirgli di proseguire gli studi.

Flavia Andreatta, preside del Fontana, ha raccontato al quotidiano locale "Trentino" di come sia stata colpita dalle parole dell'adolescente. Un giorno il ragazzo è andato da lei, dicendole: "Devo cercare qualcosa per sostenere la mia famiglia. Non ci sono alternative". Categorico, con la maturità di chi si sente già responsabile per sè e per gli altri.

La dirigente scolastica ha poi spiegato di aver tentato, insieme ai genitori del ragazzo, di convincerlo a restare tra i banchi, ma invano. "La mamma ha ancora un impiego e avrebbero fatto dei sacrifici, pur di vederlo studiare, però il ragazzo si è sentito un po' l'uomo di famiglia, con la responsabilità di contribuire al bilancio", ha spiegato la preside. "Un vero peccato - ha aggiunto - perchè era bravo, con la media del 7. So che adesso ha trovato dei lavori interinali".

Le difficoltà, a sentire la dirigente scolastica, non sono un caso isolato. Riguardano molte famiglie, "sia di extracomunitari che di italiani - ha proseguito - soprattutto se ci sono più figli e tra i genitori qualcuno è in cassa integrazione o ha perso il lavoro". Per non parlare, poi, dei viaggi d'istruzione e delle attività extra, che ormai sono spesso considerate un lusso. "C'è chi arriva a fare un mutuo per pagare un viaggio d'istruzione, che magari costa qualche centinaio di euro. Per questo noi stiamo molto attenti a proporre iniziative, perché devono essere alla portata di tutti".

Sulla storia dell'ex-studente di Rovereto si è espressa anche Marta Dalmaso, assessore all'Istruzione della Provincia autonoma di Trento. "Un fatto di questo tipo è molto grave, inaccettabile". Secondo l'assessore, non sono stati segnalati altri casi analoghi, anche se l'abbandono del percorso di studi per sostenere l'economia familiare è sicuramente un problema attuale. "Mi occuperò personalmente di approfondire la vicenda - ha proseguito Dalmaso, che ha poi lodato il 17enne per la "sensibilità verso i genitori e il sacrificio personale".

In Italia al posto di andare avanti stiamo andando indietro veramente triste e tanta rabbia in corpo.

mercoledì 25 novembre 2009

Vergogna Cannavaro: "su Balotelli nessun coro razzista"

chi sta portando la bandiera col fascio littorio è Cannavaro.
Vergogna Cannavaro: "Su Balotelli nessun coro razzista"

"Sono anni che vado negli stadi e mi sento dire di tutto, mi pare che quelli in questione non fossero razzisti". Ha dell'incredibile quanto espresso da Fabio Cannavaro, non ultimo a scivoloni politici (è lui il calciatore che sventola il tricolore col fascio littorio,) sui cori contro l'interista Mario Balotelli che le due curve della Juventus hanno intonato domenica sera durante il match dei bianconeri contro l'Udinese. Curioso però che di tutti i cori dedicati da un anno a questa parte all'attaccante interista sia stato dato risalto, se vogliamo, al meno grave, quel "Se saltelli muore Balotelli" cantato domenica sera che in realtà è nato per un altro calciatore il cui cognome termina in "elli", Cristiano Lucarelli, colpevole di essere stato identificato come comunista. Così come Balotelli sarebbe colpevole di essere nero. In realtà il coro peggiore che viene cantato contro l'attaccante interista è un altro ed è stato accuratamente ignorato dai media, fedeli a quella linea ormai condivisa e generalizzata di raccontare le cose senza in realtà farlo: "Non esistono negri italiani" è forse quanto di peggio razzismo, nazionalismo e fascismo possano partorire.
José Mourinho, tecnico dell'Inter, parlando dello scontro diretto contro la Juve in programma fra due settimane, aveva detto: "Mi piacerebbe tanto giocarla a Torino, però ci sono delle regole e magari la partita non si giocherà all'Olimpico". Così non è stato (nelle motivazioni, il giudice ha soltanto multato la Juve spiegando che "l'entita' della sanzione è stata attenuata per avere la società concretamente operato onde prevenire tali deplorevoli comportamenti") e neanche ci stupisce dopo la sentenza che ha visto l'assoluzione di Moggi, Giraudo e Bettega per doping amministrativo quando la stessa società bianconera aveva chiesto il patteggiamento (dichiarandosi quindi colpevole). Non ci aspettiamo nemmeno, come invece fa Mourinho che si vede non si è ancora abituato allo "stile italiano", di vedere il prossimo Juve-Inter sospeso dall'arbitro dopo i primi cori razzisti nei confronti di Balotelli. Qualunque arbitro venga designato siamo certi che farà finta di non sentire o nella migliore delle ipotesi si farà forte dell'intervento dello speaker che inviterà le curve a interrompere i cori razzisti. A meno che la società bianconera non decida di "trattare" preventivamente con i fascisti travestiti da ultrà che da anni sfruttano le due curve juventine per fare cassa. Non sarebbe certo la prima volta.

Senza Soste

martedì 24 novembre 2009

Peppino Impastato e radio Aut

Francia: preservativi in facoltà a 20 centesimi


Via libera dal governo Sarkozy all'«operazione condom»: firmato l'accordo con campus e Università

PARIGI - Preservativi negli atenei francesi a soli 20 centesimi l'uno. È l'ultima novità del governo Sarkozy che ha dato il via libera all'operazione «Sortez-couverts» ('Uscite coperti', ndr.) firmando un accordo per la localizzazione in tutte le università e i campus di Francia di 1000 distributori di profilattici, disponibili al prezzo di un caffè agli studenti.

«OPERAZIONE CONDOM» - Uno studente su due - ha detto il ministro per l'insegnamento superiore, Valerie Pecresse - ha affermato di non usare sistematicamente il preservativo». Una situazione a cui l'Università ha deciso di far fronte. L'operazione 'condom a 20 centesimi' era stata già lanciata in Francia dall'ex ministro della Salute, Xavier Bertrand, nel 2006, ma solo per farmacie e chioschi. Ora è stata estesa anche alle università.

In Italia?
Corriere della sera

sabato 21 novembre 2009

Comunicato del Csoa Askatasuna dopo i fatti di ieri sulla contestazione alla ministra Gelmini


Nella foto sopra, Ghiglia e Ravello, noti esponenti del Pdl torinese (ex An) che picchiano gli studenti con tanto di cinghia e pugni.
Il solito vecchio ritornello
[comunicato csoa askatasuna]

Manco a dirlo, appena succede qualcosa in città, la colpa è sempre dei centri sociali. Forse il problema è che la visita alla chetichella e ben preparata della ministra Gelmini alla famiglia Scafidi non è funzionata e allora tocca prendersela con qualcuno... ed il capro espiatorio è sempre lo stesso.

Succede che fin dalla prime ore della mattinata di ieri, centinaia di studenti medi e universitari si organizzano per contestare la visita istituzionale a Torino di un ministro tra i più disprezzati della storia repubblicana.

In totale autonomia decidono poi di recarsi alla sede del Pdl dove la Gelmini aveva annunciato la sua visita. Lì vengono accolti a suon di insulti e sputi dal Partito della Cinghia (il Pdl di Ghiglia). Gli studenti si difendono e il solito Ravello fa finta di farsi male. L'aggressione subita diventa aggressione preordinata e, scontato epilogo, la regia non può non essere dei centri sociali.

La bagarre che da oggi, e sicuramente nei prossimi giorni, non tarderà a scatenarsi per chiedere ancora a più alta voce "sgomberare, sgomberare", ci fa sorridere.
Siamo naturalmente solidali agli studenti aggrediti, che avevano mille ragioni per contestare un ministro (sì, anche in una sede di partito) che gli sta facendo a pezzi scuola e università; solo non vediamo perché dobbiamo sempre essere tirati in mezzo.

Il problema è in realtà un problema di consenso (mancato) e programma sulla Formazione (nullo) che una destra di governo non sa più come gestire. L'accodamento a questi ululati securitari ed emergenziali, che sicuramente non mancherà da parte della sinistra cittadina, non fa che confermare la sua pochezza politica e subordinanza programmatica alla Destra.

Da parte nostra, continuiamo a sapere da che parte stare, con gli operai che lottano (e qualche volta sequestrano), con le scuole in subbuglio che continuano a far sentire la propria voce.

csoa Askatasuna

Mi permetto di dare piena solidarietà agli studenti e non a certi figuri cittadini.

venerdì 20 novembre 2009

Report: con l'acqua alla gola

In Italia c'è già un esempio di acqua privatizzata. Basta andare ad Aprilia nel basso Lazio e vedere cosa succede. Grazie alla trasmissione Report abbiamo questo video:

Ancora sulla privatizzazione dell'acqua: ci hanno venduto alle multinazionali

L'articolo 23bis del decreto legge 112 prevede che lo sfruttamento dell'acqua debba essere regolamentato dalle regole capitalistiche - approvato il 5 agosto 2008! Lo sapevate?
Il governo ci ha venduto alle multinazionali!
L'ACQUA E' UN BENE PUBBLICO NON SI PUO' TRARNE PROFITTO A SCAPITO DEL POPOLO!
VERGOGNA!

Le bollette aumenteranno fino al 300% e potranno toglierci l'acqua se non paghiamo, se saremo fortunati si limiteranno a contaminarla..
Questo si chiama Nuovo Ordine Mondiale...SVEGLIAAAAAAAAAA!!!
Aiutatemi a diffondere!! Presto vedremo i danni di questa legge!!

Dove sono i "difensori del popolo"?? Non è abbastanza importante questo???

CI HANNO VENDUTO PER LEGGE E NEMMENO CE NE SIAMO ACCORTI! QUANDO C'E' DA IMBROGLIARE SONO TUTTI D'ACCORDO!
E' RIMASTO QUALCUNO A CUI INTERESSA IL NOSTRO FUTURO??

giovedì 19 novembre 2009

Cosa succede a privatizzare l'acqua

Bolivia: cosa succede a privatizzare l'acqua

Mosca: ucciso un altro antifascista


Martedì 17 novembre, intorno alle 21.00 Ivan "Vanja" Khutorskoi, 26 anni, volto noto dell'antifascismo moscovita, è stato ucciso con due colpi d'arma da fuoco alla nuca nella tromba delle scale del suo condominio, nella parte orientale di Mosca.

Ivan, nonostante la giovanissima età, era uno dei leader del movimento antifascista, da molti anni in lotta contro la crescente presenza neonazista in Russia, e a Mosca in particolare.
Organizzatore di concerti punk-oi e di tornei di arti marziali, i compagni lo definiscono un ragazzo generoso, sempre in prima fila nelle mobilitazioni; proprio questa sua generosità lo aveva reso uno dei volti più conosciuti, e uno dei personaggi più invisi alla destra.

L'indirizzo dell'abitazione di Ivan, così come quello di molti altri antifascisti, era stato più e più volte pubblicato sui siti dell'estrema destra, che invitavano esplicitamente alla sua "liquidazione"; gli stessi siti oggi pubblicano informazioni relative all'omicidio.

L'aggressione che ha portato alla morte del giovane antifascista è solo l'ultima di una serie di attacchi che Ivan ha dovuto subire: il primo attacco ha avuto luogo nel 2005, quando i nazisti lo hanno ferito alla testa con una lama di rasoio. La seconda volta, i nazisti lo hanno aspettato nella tromba delle scale del suo palazzo e lo hanno colpito con un cacciavite e con una mazza da baseball. Nel gennaio di quest'anno, Ivan è stato accoltellato allo stomaco con un coltello durante una rissa, ma ancora una volta era riuscito a sopravvivere all'attacco.

L'episodio della morte di Ivan fa riaffiorare la preoccupazione per la crescente presenza in Russia dell'estremismo nazionalista e neonazista; sempre più numerose sono le aggressioni a sfondo razzista e xenfobo e gli attacchi agli antifascisti: quest'omicidio è il sesto ai danni del movimento degli ultimi tre anni.

Alexander Ryukhin, 19 anni, è stato assassinato a coltellate nell'aprile 2006 prima di un concerto hardcore nelle vicinanze della stazione della metropolitana Domodedovskaya. Uno degli aggressori di Alexander è stato anche condannato per l'omicidio dell'avvocato antifascista Stanislav Markelov e della giornalista Anastasia Baburova. Nel marzo 2008, un altro giovane antifascista, Alexei Krylov, è morto per le ferite che gli sono state inferte. Nel mese di ottobre 2008, Fyodor Filatov, uno dei leader dell' Antifa skinheads, è stato ucciso davanti all'ingresso della sua abitazione. Il 28 giugno 2009, un gruppo di nazisti ha ucciso con coltelli e pistole ad aria compressa l'antifascista Ilya Dzhaparidze.
infoaut