RIBELLARSI E' GIUSTO

ne servi ne padroni

Odio gli indifferenti

"Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. Antonio Gramsci

UN GIORNO NON PUO' VIVERE SENZA LA SUA UTOPIA...

Così l’uomo deve vivere andare senza frontiere come bambini dietro un aquilone Correre giocare ridere vivere Non girare mai il volto anche quando a te non tocca Amare questa terra dove nel nostro cuore sventola rossa come il sole il simbolo di una nuova era Cammina uomo E va senza tempo Ridere amare lottare e poi infine invecchiare E passerà per questa terra come una luce di libertà
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mercoledì 20 marzo 2013

giovedì 10 novembre 2011

Il Grande golpe globale-Chi sono Monti e Papademos?



Tutto si collega con la nuova Gendarmeria europea.

sabato 5 novembre 2011

Ecco come i colossi della Grande distribuzione organizzata trattano i lavoratori



In questo caso è Esselunga ma vale in toni diversi un pò per tutte le catene commerciali.

martedì 1 novembre 2011

L'Unesco riconosce la Palestina



P.S.
L'Italia si è astenuta.

sabato 27 agosto 2011

No Tav- incontro con un redattore della rai torinese

Di questo ennesimo presidio alla RAI credo ricorderò le prime e le ultime parole dello pseudo-giornalista-redattore del TGR. Le prime sono state come un'ondata di gas CS, disorientanti, fastidiose, ingiustificabili: "Mi ricordate gli squadristi che nel 1921 occupavano le redazioni, avete atteggiamenti fascisti". Strano. Perché all'epoca per manipolare le informazioni era necessario occupare le redazioni. Oggi basta pagare i loro stipendi, magari con qualche extra. Poi l'auto-compiacimento che ha sfiorato il ridicolo "Io svolgo la mia professione con onestà intellettuale". Un brivido ha percorso il mio corpo a sentire pronunciare da un REDATTORE di quello che forse è il peggior TG Regionale di tutta Italia la parola ONESTA'. Non commento sull'intellettuale... E poi il finale, o quasi, del suo discorso (?) introduttivo: "Avete minacciato persino Bianco, l'altra sera gli avete detto che LO LICENZIATE!". Ecco, qui dimostrano (oltre a non avere il minimo senso dell'ironia) tutto il paradosso di questa situazione. E' vero, non lo nego, che l'altra sera al megafono ho detto "BIANCO, SICCOME LA RAI SIAMO NOI, SIAMO QUI PER DIRTI CHE SEI LICENZIATO". Verissimo. Ma se davvero avessimo questo potere, dovremmo andare un giorno si e un giorno NO a chiedere alla RAI un'informazione corretta, cosa che è nei nostri DIRITTI non solo come NO TAV, ma, soprattutto, come CITTADINI?

Ancora una volta la questione relativa all'ennesimo diritto negato è stata ridotta ad una questione di ordine pubblico, delegando alle forze dell'ordine (che, va detto, hanno gestito con tatto la situazione) un problema che nessun politico, della cosiddetta sinistra o della destra, può o vuole affrontare. L'Italia è al 64esimo posto, nel mondo, per libertà d'informazione. E questo è il fondamento di qualsiasi democrazia. Come cittadini non possiamo più limitarci ad essere indignati, e neanche a dire che "tanto non cambia niente". Perché la RAI siamo noi nella misura in cui siamo determinati a ricordarglielo, a riprenderci questo diritto. Non permettiamogli di mentire, sistematicamente, di omettere, di trasmettere false immagini (e non lo fanno solo per la TAV) per ingannare quelli che, in buona fede, credono in questa scatola magica, manco fosse una religione!

Il problema è sotto gli occhi di tutti, ma la soluzione? Un po' meno. Questi presidi vengono fatti da anni, e senza risultati. Eppure non possiamo mollare, perché se lo facciamo si sentiranno autorizzati ad aumentare il livello di fango, bugie, propaganda. Devono sapere che non siamo più disposti a tollerare questo schifo. Facciamoglielo sapere. Senza reagire alle loro provocazioni, perché le faranno sempre. E diffondiamo la "libera informazione" dal basso. Quando avranno solo il 15% di telespettatori, avranno perso. Continueranno a sentirsi "intellettualmente onesti"?

Simonetta Zandiri

mercoledì 10 agosto 2011

Ridateci Roosevelt

Quarant’anni fa Jean Paul Sartre​ si opponeva all’unificazione europea, perché sospettava e temeva che il risultato finale sarebbe stata non un’integrazione politica ed economica dei vari paesi dell’Unione, ma un’egemonia neocapitalista franco-tedesca sui rimanenti.

Il tracollo di Grecia, Spagna e Portogallo dapprima, e dell’Italia ora, conferma le sue previsioni. Il tandem guidato da Sarkozy e dalla Merkel sta infatti imponendo al resto dell’Europa, e in particolare a noi, misure ultra-liberiste che non si discostano molto da quelle già imposte per decenni dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale ai paesi in via di sviluppo, costretti dalle loro difficoltà economiche a chiedere l’aiuto di queste vampiresche e imperialistiche organizzazioni.

Naturalmente, le misure richieste non dispiacciono affatto a Berlusconi e Tremonti, che si sono affrettati a presentare come passi inevitabili la privatizzazione selvaggia degli enti e dei beni pubblici, la riforma radicale del sistema pensionistico, l’abbattimento dei vincoli e dei controlli alla cosiddetta ‘libertà d’impresa’ e lo smantellamento di ciò che ancora rimane dello statuto e dei diritti dei lavoratori.

Inutile dire che quelle misure non sono affatto necessarie (e probabilmente nemmeno sufficienti) per il superamento della crisi, benché come tali vengano presentate. Lo dimostrano, ad esempio, le analisi del premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che da anni si oppone alle analoghe misure imposte dal FMI e dalla BM (di cui egli era stato un contrastato vicepresidente).

Nello specifico, se in Italia ci fosse una sinistra degna di questo nome, e non solo una sua indegna caricatura, essa cercherebbe di imporre, o almeno di proporre, una svolta radicale in direzione neosocialista, o almeno neosocialdemocratica. In particolare, ricordando al governo che i 50 miliardi di euro di cui ha immediatamente bisogno, e le centinaia che dovranno seguire, si potrebbero reperire spolpando le ossa non delle classi lavoratrici e produttive, ma di quelle speculatrici e parassitarie.

Ad esempio, facendo restituire alle banche gli enormi finanziamenti che hanno permesso il loro salvataggio allo scoppiare della crisi nel 2008. Tassando le rendite azionistiche e i patrimon dei ricchi, invece che i consumi dei poveri. Scatenando una guerra senza presa di prigionieri all’evasione fiscale, invece di giustificarla e addirittura fomentarla. Chiudendo i rubinetti delle miliardarie elargizioni annuali al Vaticano, alla Chiesa e agli enti religiosi. E soprattutto concentrando gli aiuti sui servizi e le infrastrutture sociali, invece che sulle imprese e il commercio privati.

Sappiamo bene, ovviamente, che non una di queste misure verrà proposta, e meno che mai attuata. E che la crisi sarà invece sfruttata come scusa per la restaurazione del capitalismo selvaggio, e lo smantellamento dello stato sociale. Ma possiamo almeno ricordare che nel 1929 le cose sono andate in un altro modo, e che dunque potrebbero andarci anche oggi, se solo al posto di Berlusconi (e anche di Obama) ci fosse un Roosevelt. Che però, purtroppo, non c’è…
Odifreddi

mercoledì 13 luglio 2011

Comunismo

il COMUNISMO per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo COMUNISMO il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Karl Marx

lunedì 13 giugno 2011

Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

Ottimo risultato dalle urne referendarie.
Continua un percorso di cambiamento politico, culturale e sociale in positivo nel nostro paese. Un cambiamento che si è materializzato il 13 febbraio di quest'anno con la manifestazione "Se non ora quando", che è continuata con l'elezione dei sindaci ed ora con i referendum.
Vincere è bello, ma dietro queste vittorie c'è il lavoro di migliaia di avanguardie, ed è a loro/noi che dedico queste vittorie.
Personalmente, ricordo una raccolta firme in quel dell'Hiroshima a Torino sull'acqua pubblica, già quattro anni fa, quando era ancora tutto in fase embrionale. Non posso non ricordare i vari bliz di Greenpeace, non ultimo allo stadio olimpico di Roma nella finale di coppa Italia e conclusa con sette denunce.
Non posso non dedicare questa vittoria ai vari blogger sparsi nella rete e a tutti i comitati di quartiere e alle realtà antagoniste territoriali. Vittoria di chi ci ha creduto anche quando era uno dei pochi salmoni a nuotare controcorrente.

Chi sono gli sconfitti? Sicuramente Pdl e Lega e sicuramente l'informazione tradizionale. Mi riferisco alla tv e ai giornali, sorpassati da altri tipi di informazione/comunicazione, e cioè internet e i vecchi comitati di quartiere.
Il territorio torna ad essere sovrano.

Un appello che rivolgo a tutti, è quello di non lasciare soli i comitati NO TAV, che da diversi anni, stanno tenendo testa alla politica burocrate e dei partiti, per difendere la natura, l'ambiente e l'uomo allo stesso modo di come si è difeso l'acqua pubblica e l'energia alternativa.

Allo stesso modo vorrei vedere più solidarietà verso quelle realtà antagoniste che si stanno opponendo ad un concetto di precarietà diffusa. Per restare sempre nell'area torinese, vedi contestazione a Bonanni e alla Cisl in diverse occasioni, perchè causa di svendita diritti dei lavoratori.

Abbiamo visto che la lotta e il sacrificio pagano, ma pagano ancora di più se a lottare e a sacrificarci siamo in tanti.

Saluti a pugno chiuso.

giovedì 9 giugno 2011

E' morto Enzo Del Re, il poeta proletario. Ricordo di Daniele Sepe.

Lavorare con lentezza. E suonare una sedia per denunciare l'infinita ripetitività del lavoro in fabbrica. E' morto Enzo Del Re, "l'ultimo cantastorie di Mola di Bari", come si definiva. Voce storica della ribellione degli anni Settanta era il musicista degli oggetti della vita. Nato a Mola di Bari nel 1944 ha lavorato, è mancato l'altro ieri, il 7 giugno. Ciao Enzo.


Il poeta proletario di Daniele Sepe

da Il Manifesto


Un giorno mio padre mi portò un disco. Era stato al Festival dell'Unità e aveva assistito a un concerto. Era un disco giallo, senza foto o disegni, fondo giallo e una scritta rossa: Enzo Del Re Il Banditore. Mi disse: «Sentitelo per bene, perché questo c'ha cervello».

Era il '74 e giallo e rosso voleva dire Maoista. Io, anarchico, lo misi sul Lesaphon da tre lire con una certa diffidenza. La musica era come la copertina, essenziale: la voce e qualcosa che pensavo fossero bonghetti. Una stranezza nell'era del pop e del folk. Ma i testi erano strepitosi: Il superuomo, Voglio fare il boia, Lavorare con lentezza. Prese posto a fianco ai dischi di Buttitta e Salvatore.

Cominciai a cercare informazioni su chi era il tipo strano, e mi arrivavano strane voci: è un compagno pugliese, suona da solo con una sedia e niente altro, usa solo i pullman per spostarsi, fa l'autoriduzione e quando arriva il controllore si mette a fare comizio per i passeggeri, contro il biglietto e per il trasporto pubblico gratuito, vuole suonare otto ore e a paga sindacale di operaio...

Non mi capitò di incrociarlo, all'epoca de' I Zezi, tra i festival del Proletariato Giovanile e quelli dell'Unità. Anni dopo decisi di fare un cd dedicato al lavoro, o meglio, alla fatica, e mi ricordai di quel pezzo Lavorare con lentezza e la sua continuazione geniale, Tengo 'na voglia 'e fa niente. E andai a cercarlo.

Avevo conosciuto negli anni molti compagni di Bari. Uno di questi, Alessio 'o prufessore, si era aperto un agriturismo alla buona, ex ML era quello che ne poteva sapere qualche cosa.

Mi disse: «Enzo Del Re? Oggi è giorno di mercato a Mola, andiamo che te lo porto a salutà».

Stava seduto dietro un banchetto, piccolo, minuto, con una barbetta bianca, e sul banchetto decine di cassette, quelle vecchie che non si usano più, e qualche libro piccolo quanto lui.

Mi disse: «L'ho sentito il pezzo come l'hai fatto tu, ma ti sei dimenticato la strofa che parla di Rino Gaetano».

«Dov'è che parla di Rino Gaetano, Enzo?»

«Quando parlo del fatto che se cadi ti fai male e all'ospedale non c'è posto, e ci puoi morire presto. Rino così è morto, cadde dalla moto e l'ambulanza non arrivò in tempo». E m'ero preso pure la cazziata...

Le cassette erano La storia completa di Mola o qualcosa del genere. Le volevo comprare, insomma dare una mano, avevo capito che la situazione non era delle migliori. Gli chiesi: «Quanto costano?».

E lui: «50mila lire».

«Alla faccia! Enzo pe' 'na cassetta è un po' troppo».

Contrattammo e mi presi le cassette e il libri. Alessio 'o prufessore mi fece capire che dissentiva. Insomma Enzo non è che aveva presente il valore dei soldi, in negativo e in positivo. Ne ho avuta conferma qualche anno dopo, quando mi chiamò da Bologna un tizio di una produzione cinematografica. Facevano un film sul '77 e volevano mettere il brano di Enzo, anzi dare proprio il titolo al film, ma mi spiegò che Enzo gli aveva chiesto «nonsoquanta» milioni.

Mi disse: «Tu lo conosci, parlaci tu».

Io lo feci rintracciare dagli amici di Mola e cercai di convincerlo. Non so come andò la trattativa, ma qualunque cosa gli abbiano dato sarà stato sempre troppo poco. Qualche anno fa l'ho visto sul palco del Primo Maggio, al concertone della Triplice, e mi è venuta un po' di tristezza a vederlo lì, lui che non voleva suonare meno di otto ore perché gli operai lavorano otto ore, proprio nel posto dove i sindacati si sono venduti il vendibile della vita dei salariati.

Pensavo a Bonanni e a Angeletti e al testo di Lavorare con lentezza, agli incidenti sul lavoro e a Marchionne, e ragionavo sul fatto che il padrone le nostre canzoni le digerisce sempre bene, e ce le ricaca sempre in testa.

Enzo rimane quello che saliva sugli autobus e faceva l'autoriduzione del biglietto, per principio, da solo, per avere l'occasione di parlare di ingiustizia sociale e sfruttamento. Un folle compagno, un grande militante e un surreale poeta proletario, che ha ricevuto dalla compagneria molto meno di quello che alla compagneria ha regalato.

Buon viaggio Enzo, una sedia la troverai pure dove stai adesso.

E il biglietto di sicuro non l'avrai voluto pagare.

mercoledì 8 giugno 2011

sabato 4 giugno 2011

Il Sociologo Marco Revelli parla della galassia antagonista. Al parco Ruffini il festival della controcultura.

Il sociologo Marco Revelli parla della galassia antagonista che anima da oggi a giovedì la kermesse organizzata a Parco Ruffini

Centri sociali, blogger, editori indipendenti, movimenti politici dal basso, artisti e associazioni che vivono senza finanziamenti pubblici. Una potente energia sommersa sta risvegliando l´Italia migliore, quella che s´indigna, che non accetta le menzogne, che scende nelle piazze - reali e virtuali - e fa sentire la sua voce. Sono tante le correnti che confluiscono nella «controcultura» contemporanea. Alcune talmente radicali da rifiutare ogni contaminazione con il pensiero dominante, altre più disposte alla mediazione. Il sociologo Marco Revelli le chiama «una galassia». Ed è una concidenza neanche tanto straordinaria che l´Infoaut Festival, il primo festival della cultura antagonista che si apre oggi al Parco Ruffini, arrivi all´indomani di una tornata elettorale che ha trasmesso dalle urne segnali di rivoluzione.

Professor Revelli, che caratteristiche ha questa controcultura rispetto a quelle del passato?

«Ogni forma vera di cultura, ogni pensiero che non si accontenta dell´esistente, è in realtà una controcultura. Negli anni 60 e 70 si trattava di scardinare le forme del mainstream costruendo modelli di anticonformismo, ed ecco allora i movimenti studenteschi, il fenomeno hippy, la Beat Generation. Oggi si è arrivati al paradosso che gli eccessi sessuali caratterizzano lo stile di vita del leader maximo. Da elemento di libertà la trasgressione si è trasformata nella cifra del narcisismo del potere».

A dettare le regole del mainstream, oggi, a stabilire chi è dentro e chi è fuori sembrano essere i media più ancora della politica. Che è essa stessa asservita ai meccanismi della comunicazione. È d´accordo?

«Senza dubbio lo spazio mediatico omologato e le forme del consenso di massa creano una gabbia di ferro per la libera informazione. Il doppio meccanismo marketing/audience ha generato un sistema blindato rispetto al quale la controcultura non può che essere antagonista».

La vittoria di Pisapia a Milano e di De Magistris a Napoli, due candidati outsider, che cosa ci dice in proposito?

«Ci dice che la partita non è chiusa, che un´altra Italia è possibile. Che il paese non è del tutto omologato sulla sintesi di questo doppio meccanismo, rappresentata da Silvio Berlusconi . Che esistono gli anticorpi: la sobrietà, l´ambientalismo, la decrescita, la legalità. I valori, oggi vincenti, della politica più radicale».

Beppe Grillo sostiene, al contrario, che si tratti della vittoria del «sistema».

«Un´uscita meschina, dettata dall´invidia per due protagonisti nuovi della scena politica. Peccato, perché avevo seguito con interesse il Movimento 5 stelle. Una caduta di stile, da parte di Grillo. Ma lo stile non è certo il suo forte».

Bersagli di questo moderno antagonismo, che porta le donne in piazza e i ricercatori sui tetti delle università, sono non solo la destra e il berlusconismo ma anche la sinistra più conformista.

«Il veltronismo è stata una forza del berlusconismo, non dimentichiamolo. Entrambi attori di un progetto egemonico unitario. Ora è arrivato un segnale forte che cambierà la politica, anzi l´ha già cambiata. È venuto il momento di superare entrambi, il Lingotto e il predellino».

Come si controlla la massa di notizie e informazioni che circola sul web, epicentro della nuova controcultura?

«Non si controlla. Semmai si prova a decifrarla. E chi ci riuscirà per primo avrà certamente dei vantaggi».

Repubblica

venerdì 3 giugno 2011

La Torino antagonista si apre alla città

Per chi non lo sapesse ancora, è in corso a Torino la festa organizzata da Infoaut. L'evento ha sede al Parco Ruffini e si terrà fino a giorno 9 giugno.
L'iniziativa vede la presenza di molte realtà antagoniste torinesi, dai centri sociali Askatasuna e Gabrio, ai sindacati di base USB e COBAS, dai NO TAV ai Free Palestine, dal Collettivo Comunista Piemontese a Radio Black Aut, ecc.
Molti stand e molte iniziative e dibattiti. Tante magliette e tanti libri, fiumi di birra e tanta musica. I guppi musicali sono molti, parliamo di Statuto, Fratelli di Soledad, Bunna, e soprattutto gli Asian Dub. Alcuni concerti sono gratuiti, altri sono a pagamento e si tengono dentro il Palasport.
Per i più piccoli c'è il tappeto gonfiabile organizzato dalla Ludoteca popolare Vanchiglia, mentre per i più anziani c'è la possibilità di ballare al palchetto.
Infine abbiamo la palestra popolare Antifa Dante Di Nanni, con iniziative e veri incontri di pugilato.
E' una festa per tutti, per grandi e piccini, per militanti antagonisti e per chi si affaccia per la prima volta a certe realtà cittadine.
Insomma, se volete fatevi un giro al Parco Ruffini, ne vale la pena.
Sempre al fianco dei popoli in lotta.

giovedì 17 marzo 2011

giovedì 10 marzo 2011

10 marzo 1923: in Italia viene approvata la giornata lavorativa di 8 ore

Il 10 Marzo 1923 il Consiglio dei Ministri approva finalmente il decreto legge relativo alla riduzione della giornata lavorativa. Il11 marzo disegno di legge sugli orari, presentato dal socialista Filippo Turati, viene recepito dal Regio Decreto Legge n° 692, che stabilisce le 8 ore giornaliere di lavoro e le 48 ore settimanali, oltre a prevedere 12 ore di straordinario, da effettuarsi previa comunicazione all’Ispettorato del lavoro. Questo fondamentale atto legislativo, approvato dal primo governo Mussolini con un gravissimo ritardo rispetto alle altre nazioni europee (gli edili e i meccanici inglesi ottennero la riduzione a nove ore già nel 1872, mentre in Russia le definitive otto ore ottenute dagli operai nel 1917 furono una colonna portante delle rivendicazioni rivoluzionarie già dal 1905), non deve però essere letto come una concessione del Governo al proletariato, bensì come la vittoria di una lotta durata più di un secolo e mezzo. 
La giornata di 8 ore infatti, non fu richiesta al padronato o al governo, ma imposta dal basso, dalle rivendicazioni operaie e contadine che cominciarono a imporsi con insistenza nei primi decenni del XVIII secolo, per giungere ai primi riconoscimenti con i moti rivoluzionari del 1848. Va comunque ricordato che Marx non disprezzava affatto la regolamentazione dell'orario per legge (che veniva rifiutata dai proudhoniani) pur sapendo bene che la riduzione effettiva sarebbe stata in definitiva il frutto di mutati rapporti di forza e non soltanto di una legge. Su proposta di Marx infatti, nel primo congresso dell'Internazionale (Ginevra 1866) fu votata questa risoluzione: “Noi dichiariamo che la limitazione dell'orario di lavoro è la condizione indispensabile perché gli sforzi per emancipare i lavoratori non falliscano”, e di conseguenza veniva proposto che il limite legale per l'orario di lavoro fosse di 8 ore.
 La legge varata nel 1923 comunque, non è aliena da ambiguità e colpi di mano da parte dell’esecutivo fascista, e persino un quotidiano certamente non troppo vicino alle istanze dei lavoratori come La Stampa fu in grado di cogliere queste incongruenze in un articolo dell' 11 marzo 1923, di cui trascriviamo un estratto: “La risoluzione delle questioni più importanti (caratteri del lavoro effettivo, ripartizione dell'orario massimo normale, periodi ultra settimanali, reclami regolamentari, deroghe temporanee, dilazione di termini), è riservata al Comitato permanente del lavoro, ossia al giudizio di pochi rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, quasi che il Governo possa sottrarsi a qualunque responsabilità in materia che tocca tutta l'economia nazionale. Ma, sopratutto, si notano nel progetto disposizioni che, per essere in evidente contrasto con la situazione reale del paese e con le possibilità dell'industria, e dell'agricoltura, non avrebbero altro risultato che quello di far sorgere nei lavoratori pericolose illusioni o di fomentare conflitti, come quelle che impongono per il lavoro straordinario un aumento del 25 % sulla paga e un aumento di salario nei casi in cui l'applicazione della legge importi una riduzione dell'orario attualmente in vigore perchè in opposizione con l'interesse e con la volontà dei lavoratori. Quando pure fosse possibile ottenere l'osservanza di queste disposizioni, esse si tradurrebbero in ingiuste limitazioni della libertà dei singoli e in una vessazione dell'industria come quella che vieta il lavoro oltre orario a domicilio o per altre aziende”.

domenica 30 gennaio 2011

Socialismo o barbarie

Il vecchio slogan “Socialismo o barbarie” è più che mai attuale, e in tutto il mondo molti continuano a pensare che l’unica alternativa alla follia del liberismo selvaggio siano le idee di emancipazione, giustizia sociale e democrazia sostanziale che si ritrovano nelle pagine scritte dai grandi teorici del socialismo e nelle esperienze storiche del movimento operaio e popolare.
Non sono sufficienti però il ricordo e la celebrazione del passato, che pure hanno il merito di preservare una memoria storica, rafforzare un’identità collettiva e mostrare che non tutti si sono arresi al “pensiero unico” neoliberista. Bisogna guardare al futuro e impegnarsi nella costruzione di un’alternativa al passo con i tempi.
I grandi movimenti rivoluzionari hanno vinto quando, spesso a seguito di pesanti sconfitte, sono riusciti a interpretare la realtà e a creare i presupposti per trasformarla.
Qui possiamo solo suggerire alcuni spunti di riflessione, sperando di stimolare la voglia di approfondire certi temi, di discuterli collettivamente e di “sperimentarli” nell’impegno concreto.
La nostra è l’epoca dell’insicurezza, intesa come precarietà lavorativa ed esistenziale, assenza di prospettive, disorientamento di fronte ai rapidi cambiamenti della realtà sociale. È necessario  ricostruire una “sfera pubblica” e reti di protezione sociale, dimostrando che l’unico strumento praticabile di autodifesa collettiva e di trasformazione della realtà è la politica, intesa come passione e solidarietà.
Tutto il contrario di una politica basata sul funzionariato e su burocrazie inamovibili che per autoriprodursi abbandonano sistematicamente ideali e legami con la propria base. Né servono leader “mediatici” che si propongono come salvatori della patria nella logica di un sistema politico al cui interno non può nascere nessuna alternativa.
Un’organizzazione politica ha senso solo se nasce dall’esigenza di soggetti sociali e movimenti diversi di mettere in rete tutte le proprie conoscenze ed esperienze per costruire un progetto di trasformazione radicale della società.
Che abbia radici nel locale e un respiro globale, perché oggi non è possibile pensare a un’alternativa se non in termini globali. Che sappia comunicare utilizzando in modo intelligente i nuovi media e scelga metodi di lotta che siano in grado di raggiungere obiettivi concreti e non solo di garantire una visibilità.
Tutto questo non può che nascere dall’incontro tra varie correnti di pensiero: marxista, ecologista, libertaria... Molti ecologisti si sono ormai resi conto che si può uscire dalle grandi crisi ambientali solo “consegnando il capitalismo alla storia”; il marxismo dal canto suo ha sempre privilegiato il tema dello sviluppo delle forze produttive, ma oggi il concetto di “sviluppo” deve fare i conti con la questione della sostenibilità.
Inoltre il socialismo è legato all’idea della pianificazione dell’economia e della gestione pubblica di settori strategici come i trasporti, l’educazione, la sanità, l’energia...
Ma la pianificazione, se viene intesa come controllo statale centralizzato, spesso porta con sé autoritarismo, burocrazia, inefficienza, corruzione.
È necessario quindi riprendere il concetto del controllo operaio sulla produzione e bilanciare la pianificazione centralizzata con forme di autogestione, strumenti di partecipazione popolare, di democrazia diretta e di decentramento.
Tutto questo dibattito qui in Italia è oggi particolarmente arretrato, e per questo sarebbe opportuno alzare lo sguardo oltre confine e guardare ad esperienze che oggi sono un po’ più avanzate. In particolare è molto interessante il dibattito sulla transizione al socialismo in corso nei Paesi progressisti dell’America Latina, un continente che pochi decenni fa era quasi totalmente schiacciato da dittature militari e dove oggi si è avviato un processo di liberazione che costituisce una grande speranza per il futuro.
Nello Gradirà
tratto da Senza Soste n.56

sabato 29 gennaio 2011

Azione diretta ...

Usando le parole di Rudolf Rocker, azione diretta è: ogni metodo di guerra immediata dei lavoratori (o altre persone nella società) contro i loro oppressori economici o politici. Tra questi le più note sono: lo sciopero, in tutte le sue forme, dalla lotta per gli stipendi allo sciopero generale; il boicottaggio; il sabotaggio in tutte le sue forme; occupazioni; propaganda antimilitarista, e in casi particolarmente critici, (...) resistenza armata della gente per proteggere la propria vita e libertà.
L’azione diretta non è applicabile soltanto sul luogo lavorativo, deve avvenire ovunque con mancati pagamenti di affitto e tasse, boicottaggio di certi prodotti, occupazioni, impedimento di costruzioni per motivi ecologici ecc... Semplicemente, azione diretta significa agire da solo senza aspettare che qualcuno lo faccia per te, poiché solo agendo direttamente le cose possono cambiare.
Quindi, rifiuto l’idea che la società sia statica, e che le coscienze delle persone, le loro idee ed ideali non possano essere cambiate. L’azione diretta provoca una trasformazione degli stessi che la fanno, perché agendo per se stessi, oltre a soddisfare la propria voglia di libertà, dimostrano che ogni cosa è possibile, se esiste la volontà per farla. Liberandoci dalle catene mentali, ci rendiamo conto che tutto è possibile, collaborando ed agendo direttamente.
Grazie all'azione diretta ci siamo liberati dalla schiavitù dei secoli passati, e con questa forza diretta abbiamo anche ottenuto le cosiddette "libertà civili". Usata bene da un grosso numero di persone, permetterà di raggiungere qualunque meta prefissata. Azione diretta e movimenti come il sindacato, possono essere utilizzati per sviluppare l’intelligenza rivoluzionaria del lavoratore e cosi assicurare l'emancipazione tramite esercizio. Azione diretta è in contrapposizione al sistema di suffragio politico. Non solo è più utile del voto, ma oltretutto, il voto "democratico" attuale non cambierà mai nulla, perché lo stato ed il capitalismo non possono essere riformati...

sabato 18 dicembre 2010

Chi sono i black block?

Chi sono i black block!? Dove sono i black block!?


La domanda che si pongono molti giornali all'indomani della rivolta di Roma, merita una risposta. Volete vedere i volti nascosti dalle sciarpe, dai caschi e dai passamontagna?

Sono gli stessi volti che pagano l'affitto delle vostre case fatiscenti, sono i volti a cui proponete contratti da 500 euro al mese con possibilità di assunzione dopo un mese di prova e passaggio al full-time da 800. Sono i volti che vi propongono i progetti di tesi a cui fate aggiungere i vostri testi noiosi, sono i volti dei ragazzini di periferia a cui date gli schiaffi quando li beccate con un pò di fumo in tasca.
Sono le persone che vi cucinano il sottofiletto tenero nella osteria ricercata e chic e lo fanno a nero 50 euro a serata, sono quelli che vi fanno il cappuccino con la schiuma. Sono quelli che vi rispondono al telefono dicendo "892424 posso esserle utile?", sono quelli che comprano la verdura al Lidl perchè alla Crai costa troppo. Sono quelli che animano le vostre vacanze per 450 euro al mese, sono quelli che preparano i mercati in cui comprate la frutta fresca. Sono quelli ai quali la precarietà sta togliendo linfa vitale, sono quelli che fanno una vita di merda ma che si son stancati di accettarla, di subirla.
Siamo parte di una generazione che per un giorno ha smesso di accumulare la cirrosi epatica dovuta alla nevrosi di una vita educata alla precarietà, che ha tifato rivolta; siamo il futuro che dovreste ascoltare, siamo l'unica parte sana di un paese coperto di metastasi.
Il 14 dicembre 2010 è successo un fatto epocale, l'intera piazza del Popolo è esplosa in un boato liberatorio quando un blindato della finanza ha preso fuoco: in quel boato è racchiusa la nostra esistenza, l'esistenza di chi non poteva credere che un governo come il nostro restasse in piedi sorretto da 4 (o per meglio dire 3) miserabili, di chi non poteva credere che per una volta ce l'avevamo fatta, in tanti, in migliaia, a gridare "Tutti assieme famo paura!". Un boato di gioia e rabbia, esploso dalla parte giusta, quella sbagliata era rintanata dentro Montecitorio.
I black block hanno colpito ancora. Occhio, voci indiscrete raccontano che a volte li si incrocia a lezione, in biblioteca, alle macchinette del caffè, in birreria, al mare, addirittura in tram.
Collettivo Universitario Autonomo - Torino

venerdì 17 dicembre 2010

Il telepredicatore

Il Telepredicatore

Valerio Evangelisti per Infoaut|

Roberto Saviano
ha scritto, nella sua unica opera narrativa, verità innegabili sulla camorra e sull'intreccio tra affari e malavita. Gliene siamo tutti grati. Ha però interpretato la gratitudine collettiva come un'autorizzazione a predicare sempre e comunque, anche su temi di cui sa poco o niente.
Ecco che, su "Repubblica" del 16 dicembre, rivolge una "lettera ai giovani" firmata da lui e, curiosamente, dall'agenzia che tutela i suoi diritti letterari. E' un'invettiva, a tratti carica di odio, contro i "cinquanta o cento imbecilli" che martedì scorso si sono scontrati a Roma con le forze dell'ordine che bloccavano il centro cittadino.

La lettera appare il giorno stesso in cui un gruppo di manifestanti è processato per direttissima.
Preferisco pensare che sia un caso, anche se tanta tempestività potrebbe sembrare sospetta. Non dimentico che, solo pochi giorni dopo l'attacco a Gaza e il suo migliaio di morti, Saviano era in Israele a tessere l'elogio di quel paese intento a difendersi dai "terroristi", analoghi ai camorristi che minacciano lui.
Ma lasciamo correre, e lasciamo correre anche la connessione tra nazionalismo basco e traffico di droga, che lo stesso governo spagnolo dovette smentire.

Veniamo agli scontri di Roma.
E' proprio sicuro, Saviano, che i dimostrati fossero cinquanta o cento? Per di più vigliacchi, piagnucolosi, descrivibili come "autonomi" o "black bloc" intenti a imporre la loro violenza - che a suo dire li diverte - alla folla passiva e terrorizzata del corteo? Oltre a parlare in tv, dovrebbe ogni tanto guardarne le immagini. In questo caso avrebbe notato una folla ben più numerosa, e una manifestazione tutt'altro che pronta a sbandarsi in preda alla paura. Così come avrebbe rilevato, nei giorni precedenti, episodi del tutto analoghi a Parigi, ad Atene, a Londra e un po' in tutta Europa. "Autonomi" e "black bloc" anche laggiù?
Ciò porterà, dice Saviano, a una limitazione degli spazi di libertà. Non considera che la libertà era già stata circoscritta, con cordoni tesi a proteggere i palazzi del potere da chi quel potere contesta. I dimostranti avevano annunciato che non si sarebbero lasciati imporre alcuna "zona rossa". Così è stato, nel preciso momento in cui si veniva a sapere che un governo discreditato aveva ottenuto la fiducia per pochi voti, grazie a espedienti inconfessabili. Una presa in giro per giovani che non scorgono alcun futuro, e vivono sulla loro pelle le conseguenze umilianti di pseudo-riforme modellate sulle esigenze dei privilegiati.

La reazione è stata di rabbia. Come poteva non esserlo?
Solo chi vive fuori dal mondo potrebbe attribuirla all'azione di "cinquanta o cento" imbecilli innamorati della violenza.
Saviano, è noto, deve muoversi sotto scorta. Prima di lanciarsi in ulteriori predicozzi farebbe meglio a chiedersi se non si stia amalgamando alla scorta stessa, facendone propria la visione del mondo. Al punto da denigrare chi già subisce umiliazioni quotidiane, e di dire a chi detiene il potere ciò che ama sentir dire. Con tanto di menzione dell'agenzia letteraria, a tutela del copyright.