RIBELLARSI E' GIUSTO

ne servi ne padroni

Odio gli indifferenti

"Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. Antonio Gramsci

UN GIORNO NON PUO' VIVERE SENZA LA SUA UTOPIA...

Così l’uomo deve vivere andare senza frontiere come bambini dietro un aquilone Correre giocare ridere vivere Non girare mai il volto anche quando a te non tocca Amare questa terra dove nel nostro cuore sventola rossa come il sole il simbolo di una nuova era Cammina uomo E va senza tempo Ridere amare lottare e poi infine invecchiare E passerà per questa terra come una luce di libertà

giovedì 10 marzo 2011

10 marzo 1923: in Italia viene approvata la giornata lavorativa di 8 ore

Il 10 Marzo 1923 il Consiglio dei Ministri approva finalmente il decreto legge relativo alla riduzione della giornata lavorativa. Il11 marzo disegno di legge sugli orari, presentato dal socialista Filippo Turati, viene recepito dal Regio Decreto Legge n° 692, che stabilisce le 8 ore giornaliere di lavoro e le 48 ore settimanali, oltre a prevedere 12 ore di straordinario, da effettuarsi previa comunicazione all’Ispettorato del lavoro. Questo fondamentale atto legislativo, approvato dal primo governo Mussolini con un gravissimo ritardo rispetto alle altre nazioni europee (gli edili e i meccanici inglesi ottennero la riduzione a nove ore già nel 1872, mentre in Russia le definitive otto ore ottenute dagli operai nel 1917 furono una colonna portante delle rivendicazioni rivoluzionarie già dal 1905), non deve però essere letto come una concessione del Governo al proletariato, bensì come la vittoria di una lotta durata più di un secolo e mezzo. 
La giornata di 8 ore infatti, non fu richiesta al padronato o al governo, ma imposta dal basso, dalle rivendicazioni operaie e contadine che cominciarono a imporsi con insistenza nei primi decenni del XVIII secolo, per giungere ai primi riconoscimenti con i moti rivoluzionari del 1848. Va comunque ricordato che Marx non disprezzava affatto la regolamentazione dell'orario per legge (che veniva rifiutata dai proudhoniani) pur sapendo bene che la riduzione effettiva sarebbe stata in definitiva il frutto di mutati rapporti di forza e non soltanto di una legge. Su proposta di Marx infatti, nel primo congresso dell'Internazionale (Ginevra 1866) fu votata questa risoluzione: “Noi dichiariamo che la limitazione dell'orario di lavoro è la condizione indispensabile perché gli sforzi per emancipare i lavoratori non falliscano”, e di conseguenza veniva proposto che il limite legale per l'orario di lavoro fosse di 8 ore.
 La legge varata nel 1923 comunque, non è aliena da ambiguità e colpi di mano da parte dell’esecutivo fascista, e persino un quotidiano certamente non troppo vicino alle istanze dei lavoratori come La Stampa fu in grado di cogliere queste incongruenze in un articolo dell' 11 marzo 1923, di cui trascriviamo un estratto: “La risoluzione delle questioni più importanti (caratteri del lavoro effettivo, ripartizione dell'orario massimo normale, periodi ultra settimanali, reclami regolamentari, deroghe temporanee, dilazione di termini), è riservata al Comitato permanente del lavoro, ossia al giudizio di pochi rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, quasi che il Governo possa sottrarsi a qualunque responsabilità in materia che tocca tutta l'economia nazionale. Ma, sopratutto, si notano nel progetto disposizioni che, per essere in evidente contrasto con la situazione reale del paese e con le possibilità dell'industria, e dell'agricoltura, non avrebbero altro risultato che quello di far sorgere nei lavoratori pericolose illusioni o di fomentare conflitti, come quelle che impongono per il lavoro straordinario un aumento del 25 % sulla paga e un aumento di salario nei casi in cui l'applicazione della legge importi una riduzione dell'orario attualmente in vigore perchè in opposizione con l'interesse e con la volontà dei lavoratori. Quando pure fosse possibile ottenere l'osservanza di queste disposizioni, esse si tradurrebbero in ingiuste limitazioni della libertà dei singoli e in una vessazione dell'industria come quella che vieta il lavoro oltre orario a domicilio o per altre aziende”.

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