RIBELLARSI E' GIUSTO

ne servi ne padroni

Odio gli indifferenti

"Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. Antonio Gramsci

UN GIORNO NON PUO' VIVERE SENZA LA SUA UTOPIA...

Così l’uomo deve vivere andare senza frontiere come bambini dietro un aquilone Correre giocare ridere vivere Non girare mai il volto anche quando a te non tocca Amare questa terra dove nel nostro cuore sventola rossa come il sole il simbolo di una nuova era Cammina uomo E va senza tempo Ridere amare lottare e poi infine invecchiare E passerà per questa terra come una luce di libertà
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martedì 22 novembre 2011

Lettera di un giovane operaio Fiat di Pomigliano

Ricordo ancora quei giorni, da Torino arrivavano notizie agghiaccianti, i compagni di Mirafiori ci raccontavano che i delegati di fim uilm fismic e ugl volantinavano un documento dove si diceva che l'accordo di Pomigliano era nato per dare delle regole a quei lavoratori del sud ( i soliti napoletani) che non rispettano le regole, e che quell'accordo non sarebbe mai stato esteso ne esportato.
Oggi la fiat annuncia che quell'accordo,proprio quello di Pomigliano, verra' esteso a tutti i 70mila lavoratori del gruppo.
Da quel giorno tante cose sono successe. C'è stato il referendum di Pomigliano quello a Mirafiori, c'è stato il 16 ottobre il 28 gennaio c'è stata l'unità con gli studenti con i movimenti, c'è stato un risveglio dei lavoratori che avevano capito fin da subito cosa stava accadendo.
Quello contro cui ci si opponeva non era solo un insieme di regole che aumentava i ritmi di lavoro ( e gia' questo avrebbe giustificato momenti di lotta importanti) ma ci si opponeva ad un nuovo modello di relazioni padrone-operaio.
Ci si opponeva all'idea che per lavorare in questo paese bisognava rinunciare a tutti i diritti conquistati in anni di lotta, compagni in ogni parte d'Italia lottavano per il diritto ad un contratto nazionale che ci rendesse realmente tutti uguali indipendentemente dalla posizione geografica, il diritto ad ammalarsi senza essere giudicati da una commissione ( la famosa santa inquisizione made in fiat), si lottava per il diritto a poter avere una vita sociale al di fuori dei cancelli di una fabbrica, si lottava per IL DIRITTO A POTERSI RIBELLARE QUANDO SI SUBIVA UN INGIUSTIZIA!!! IL DIRITTO A POTER DIRE NO!!!!!
Ma in questa lunga battaglia fiat ha trovato validi alleati perchè sapeva che da sola non c'è l avrebbe mai fatta, senza l'appoggio determinante di sindacati consenzienti e collusi e di una classe politica impegnata a pensare a come preservare il propio orticello, relegando i lavoratori sullo scalino piu' basso della societa', fiat non sarebbe mai passata.
Ricordiamo bene le parole di pseudo-sindacalisti e criminali-politici, bisogna lavorare...c'era chi voleva stendere un tappeto rosso a marchionne, chi si diceva con lui senza se' e senza ma.....
Noi non abbiamo dimenticato niente ed oggi 21 novembre 2011 quelle parole riecheggiano nelle nostre teste, rimbombano quei silenzi dinanzi alle richieste di chi lavora e butta il sangue nei luoghi di lavoro.
Queste persone sono complici e coautori di un delitto, esportare il modello Pomigliano significa esportare un reato....noi tutti ricordiamo la sentenza del tribunle di Torino che dice a chiare lettere CHE QUEL CONTRATTO NASCE CON L UNICO SCOPO DI FARE FUORI LA FIOM DALLE RELAZIONI SINDACALI.
Nasce per far fuori il dissenso.
Il contratto di Pomigliano a prodotto solo false promesse ( ancora oggi l'80% dei lavoratori sono in cassa) e ha messo nelle mani di fiat un mezzo di selezione del personale che farebbe invidia ad una qualsiasi dittatura sud americana.
Vari lavoratori lamentano minacce ed intimidazioni da parte dell'azienda che li avvicina dicendogli chiaramente che per rientrare in fabbrica bisogna cancellarsi dalla FIOM.
Tanti sotto enormi presioni lo hanno fatto e comunque non sono mai stati richiamati per far parte della nuova società.
I pochi lavoratori che sono stati chiamati per fare i corsi (SENZA INTEGRAZIONE AL REDDITO, CIOE' ANDARE IN FABBRICA A SPESE PROPRIE!!! X GENTILE CONCESSIONE DEI FIRMATARI!!!) sono costretti a non marcare il cartellino e se qualcuno osa fare domande sul perche' di tale comportamento o chiede se casomai gli succedesse qualcosa dove risulta che lui era a lavoro, viene avvicinato dai capetti di turno ed invitato a cambiare atteggiamento, pena la non riassunzione.
ECCO QUESTA E' FABBRICA ITALIA, CHIUSURA DI STABILIMENTI ( TERMINI IMERESE IRISBUS, CNH MODENA), MINACCE E REPRESSIONE.
QUESTO E IL MODELLO CHE VIENE ESPORTATO OGGI, E IN TUTTO QUESTO NOI SAPPIAMO BENE CHI SONO I COLPEVOLI E CONOSCIAMO BENE CHE STRADA PRENDERE QUALE COMPITO CI ASPETTA.
LA LOTTA NON E' CERTO FINITA DOBBIAMO CONTINUARE A LOTTARE ANCORA PIU' DECISI ANCORA PIU' CATTIVI, SE FIAT CISL UIL E ALTRI LACCHE' PENSANO CHE CI ARRENDIAMO SI SBAGLIANO DI GROSSO.
I LAVORATORI DI QUESTO PAESE HANNO GIA DATO PROVA IN PASSATO DI SAPERSI DIFENDERE E CONTRATTACCARE!!!
SE FIAT VUOLE ESPORTARE LA REPRESSIONE NOI ESPORTIAMO LA LOTTA DA MIRAFIORI A POMIGLIANO FINO IN SICILIA UNIAMOCI E RIPRENDIAMOCI LE NOSTRE VITE LA NOSTRA LIBERTA', LA NOSTRA DIGNITA'!!!
FORZA COMPAGNI CERTAMENTE SARA' PIU' DURA MA SICURAMENTE NON E' FINITA!!!
ALLA LOTTA!!!!!!!!!

L'operaio della Fiat (la 1100)



Lunedì 28 novembre ore 14 davanti al comune di Torino. Occupy Torino

Marchionne: Lavoratori non contate un cazzo, decidiamo tutto noi.

La Fiat ha disdetto tutti gli accordi sindacali in vigore e “ogni altro
impegno
derivante da prassi collettive in atto” in tutti gli stabilimenti
automobilistici italiani. Lo stop sarà effettivo dal 1 gennaio 2012.

La decisione è molto grave e si sta organizzando per il 28 Novembre
dove si terra un consiglio comunale aperto al quale ci sarà Fassino ( servo
di
Marchionne).
Ritrovo alle 14 o giù di li in piazza Palazzo di città.
Ecco l'evento:
http://www.facebook.com/event.php?eid=204644239612281

sabato 5 novembre 2011

Ecco come i colossi della Grande distribuzione organizzata trattano i lavoratori



In questo caso è Esselunga ma vale in toni diversi un pò per tutte le catene commerciali.

giovedì 8 settembre 2011

Noi ci siamo e voialtri?

08/09/2011

La maggioranza del Senato, con un'opposizione parlamentare che si è limitata al voto contrario, rinunciando ad un doveroso forte ostruzionismo nelle commissioni ed in aula, ha approvato la manovra del Governo, dettata dai registi delle banche e delle finanze europee e diretta dalla bacchetta dei maestri d'orchestra Napolitano e Draghi.

Una manovra che non risolve i problemi dell'economia, che accentua l'ingiustizia sociale, che premia gli speculatori e un ceto politico mai così poco credibile come oggi.
Una manovra che, con le ultime modifiche, sancisce una spaccatura netta nel Paese tra chi già pagava le tasse e ne pagherà ancora di più e chi è autorizzato a non pagarle, tra chi andrà in pensione sempre più tardi e chi ha rendite e patrimoni che gli permettono di non lavorare per tutta la vita.
Tra chi potrà essere licenziato e chi licenzierà con allegria, tra chi subirà contratti di lavoro ignobili e chi ha inteso distruggere la contrattazione nazionale.
Tra chi pagherà una tassa sulla clandestinità e chi continuerà a sfruttare il lavoro nero, tra chi subirà le privatizzazioni attraverso l'aumento di tariffe e servizi e chi farà ulteriori profitti a spese dello stato, del pubblico e dei cittadini.
Tra coloro che vedranno ulteriormente bloccati contratti, salari, turn-over e TFR e chi se la caverà con un piccolo ed insignificante obolo o, nella maggior parte dei casi non sarà minimamente toccato perché protetto dall'omertà e dall'ombrello di uno “scudo evasione” che continua ad essere perno fondamentale del sistema politico italiano.

A protestare, il 5 settembre alla borsa di Milano e ieri sotto i palazzi del potere di Roma c'era USB, i movimenti che in questi ultimi mesi sono impegnati nel sociale, sui territori e per il diritto all'abitare, spezzoni del resto del sindacalismo di base e pochissime forze politiche non presenti in parlamento.

Ma la rabbia e l'incredulità popolare rispetto a questa nuova dimostrazione di arroganza del potere è sicuramente ampia e coinvolge un parte sempre più vasta dei lavoratori e dei cittadini, stanchi dell'inutilità del sindacato che “collabora”, stanchi di una Cgil che prima firma l'Accordo del 28 giugno e poi scende in piazza contro l'articolo 8 della manovra che lo recepisce per legge, stanchi dei partiti della minoranza parlamentare che balbettano poche e stonate note di dissenso, senza mai sottrarsi alla sinfonia che comunque vuole la società sottomessa alle logiche dei mercati, vuole i ricchi sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri, vuole l'ingiustizia prevalere sulla giustizia e l'equità sociale.

USB sta dimostrando che è possibile opporsi e che è indispensabile farlo in modo netto e senza infingimenti. Ed è necessario non cadere nell'assurdo gioco che vede presunti esperti e grandi economisti, politici e sindacalisti del palazzo cimentarsi su come apportare poche ed irrilevanti modifiche ad un impianto che di fatto conferma e rafforza la struttura del capitalismo finanziario imperante. Se si vuole affrontare una crisi sistemica l'unica via è iniziare a trasformare il sistema ed inserire concetti quali nazionalizzazione delle banche e delle grandi aziende strategiche, super-patrimoniale non limitata alla limatura di immani capitali e patrimoni, ma quale elemento prioritario di una ormai non più rinviabile redistribuzione delle ricchezze nel nostro paese che renda molto meno ricchi i ricchi e non più poveri i poveri.

USB sta dimostrando che è doveroso opporsi e continuerà a farlo dal 9 ottobre sotto la camera, il 10 nella grande Assemblea nazionale che si terrà a Roma, tutti i giorni che ci separano dalla grande manifestazione nazionale che si prepara per il 15 ottobre ed a seguire, sempre e comunque, perché i lavoratori, i disoccupati, i pensionati , i migranti ed i precari non sono debitori di nulla e, al contrario, sono creditori di giustizia.
L'appuntamento per tutti è venerdì 9 mattina a Montecitorio,
in occasione della discussione della Manovra alla Camera

P.S.
Se deleghi ad altri la difesa dei tuoi diritti e dei tuoi figli, sei complice.

mercoledì 4 maggio 2011

Verso lo sciopero generale. Quando lo si farà ad oltranza?

Gli scioperi (poco) generali
In realtà non è che dobbiamo porci tali domande su questo sciopero generale, ma semmai su tutti quelli che vengono indetti, a cadenze più o meno regolari e da sigle diverse. Purtroppo la sensazione è quella che una volta che lo sciopero generale è convocato ognuno è a posto con la propria coscienza, contento di aver fatto il suo e pronto a dire che “comunque io c’ho provato”. Ma è questo il senso di uno sciopero generale? E’ veramente sufficiente mettere in piedi una manifestazione/evento che rischia di essere dimostrativa e basta? E’ logico parlare di sciopero generale sapendo già fin dall’inizio che le produzioni e i centri nevralgici del paese funzioneranno regolarmente? La risposta ce la fornisce in parte un esponente della Cgil stessa (Andrea Furlan), che in un suo intervento analiticamente perfetto denuda la sua organizzazione sindacale di fronte alle scelte strategiche che mette in atto: “Si continua ad accettare la logica degli scioperi puramente dimostrativi (e questo vale sia per la Cgil sia per il sindacalismo di base), rifiutando di impegnarsi per la convocazione di scioperi a oltranza (scioperi generalizzati) che si concludano solo col conseguimento dell’obiettivo o con un compromesso accettabile. Meglio uno sciopero a oltranza per un obiettivo minimo, concreto, ma che duri fino a che l’obiettivo non viene raggiunto (dando così forza e coraggio ai lavoratori per continuare e al sindacato per crescere), che non queste proclamazioni altisonanti, con o senza adunate spettacolari,  che si concludono senza il conseguimento di alcun risultato concreto.”
Puntare il bersaglio
Qualcuno potrebbe sostenere in risposta che è fin troppo facile parlare di sciopero a oltranza quando non si riesce neanche minimamente a mettere in difficoltà il paese in occasione degli scioperi generali, ma l’errore di visuale sta proprio qui. Non è tanto l’oltranza infatti a fare la differenza, ma la concretezza dell’obiettivo, la sua tangibilità con mano, la percezione della sua vicinanza. Di fronte a un attacco di portata storica (come ce ne sono stati e come ce ne saranno, a partire dalla prossima abolizione dello Statuto dei Lavoratori) non ha senso reagire con la bella manifestazione sottoforma di corteo lungo e colorato, ma serve semmai una concentrazione fisica nel luogo in cui il governo o il Parlamento sta facendo diventare legge un testo pericoloso per i lavoratori. Una concentrazione fisica che, grazie appunto all’indizione a oltranza, si arricchirebbe man mano di persone provenienti da ogni parte d’Italia, rendendo la lotta veramente generalizzata e fruibile per tutti. Lo schema dello sciopero su piattaforme stilate tipo liste della spesa è drammaticamente fallimentare, perché allontana proprio dalla voglia di lottare, dando un senso di sterilità devastante. Ecco perché servono invece obiettivi precisi, su cui giocarsi tutto fino alla fine.
Senza Soste

venerdì 22 aprile 2011

Io, commessa invisibile a Roma costretta a lavorare il 1 Maggio

Cristina, una giovane addetta alle vendite che il giorno della festa dei lavoratori dovrà stare in negozio, come molti altri, perché la giunta capitolina ha stabilito che il commercio non si ferma, scrive al sindaco


"Caro Alemanno ti scrivo.
Sì, ti scrivo per esprimere il punto di vista di un'addetta vendita (laureata, che parla 3 lingue), in merito alla decisione di tenere i negozi aperti domenica 1 Maggio, Festa dei Lavoratori. Forse tu non sai cosa voglia dire lavorare nel commercio. Provo a spiegartelo io. 

Vuol dire dimenticarsi di cenare a un orario normale con la tua famiglia, perché se il negozio chiude alle 21.00 o alle 22.00 arrivi a casa in "seconda serata".

Vuol dire non avere un weekend col proprio fidanzato, col proprio marito, coi propri figli perché il sabato e la domenica per te non esistono.  In compenso hai il tuo giorno di riposo in mezzo alla settimana quando invece tuo marito lavora e i tuoi figli sono a scuola.

Vuol dire sorridere davanti ai telegiornali, quando senti che in parlamento si discute animatamente se tenere o meno gli uffici chiusi per festeggiare i 150 anni dell'Unità d'Italia. Sai già che tu non rientri in questo discorso. Sai già che se gli altri italiani festeggiano, tu, italiana come i parlamentari, lavorerai. Magari con una coccarda tricolore appesa alla divisa, ma lavorerai.

E questo discorso vale per molte altre festività civili o religiose che siano (1 novembre, l'8 dicembre, il 6 gennaio, il 25 aprile, il 2 e 29 giugno, il 15 agosto). Per te queste sono solo date. Quasi ti scordi che cosa simboleggiano. Per alcuni rientra in questo elenco anche il 26 dicembre e il lunedì dopo Pasqua.

Questo è il settore del commercio: dove la vendita è lo scopo, il cliente è la preda, il dipendente è lo strumento. E lo strumento deve essere sempre disponibile. Io l'ho accettato, consapevole di questi sacrifici, per necessità. Non ho mai detto nulla e mai mi sono lamentata. Fino ad oggi

Il 1 Maggio a Roma c'è la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II. Evento eccezionale, certamente, ma che altrettanto certamente non deve intaccare la possibilità di festeggiare l'unica festa nazionale civile rimasta al lavoratore commesso: la festa del lavoro. E il mio non può considerarsi di certo uno di quei mestieri che non conoscono riposo in quanto fortemente necessari al cittadino come può essere il medico, l'infermiere, il poliziotto. Il mio è quello di commessa di abbigliamento. Un bene che non è certo di prima necessità. Io non offro servizio al cittadino. Io offro lo sfizio. E il 1 maggio un turista può rinunciare allo sfizio.
Liberalizzare il 1 maggio  non significa "favorire quel lavoratore che vuole lavorare", come ritiene il presidente della Confcommercio capitolina Cesare Pambianchi. Significa favorire il datore di lavoro che fa lavorare il dipendente. E se è vero che il dipendente può rifiutare la prestazione lavorativa richiesta dal datore di lavoro, è altrettanto vero che come effetto quest'ultimo ci metta un attimo a porre fine al tuo contratto quasi sempre malato di precarietà cronica.

Grazie a te, caro Alemanno, magari i turisti saranno più contenti ma metà dei tuoi cittadini, quegli anonimi invisibili commessi del centro storico, a cui voi politici chiedete ogni volta se per loro c'è qualche "convenzione" straordinaria per avere degli sconti... ecco, loro lo saranno un po' meno.

Auguri e buone feste".

Cristina
(25 anni)

Repubblica

giovedì 10 marzo 2011

10 marzo 1923: in Italia viene approvata la giornata lavorativa di 8 ore

Il 10 Marzo 1923 il Consiglio dei Ministri approva finalmente il decreto legge relativo alla riduzione della giornata lavorativa. Il11 marzo disegno di legge sugli orari, presentato dal socialista Filippo Turati, viene recepito dal Regio Decreto Legge n° 692, che stabilisce le 8 ore giornaliere di lavoro e le 48 ore settimanali, oltre a prevedere 12 ore di straordinario, da effettuarsi previa comunicazione all’Ispettorato del lavoro. Questo fondamentale atto legislativo, approvato dal primo governo Mussolini con un gravissimo ritardo rispetto alle altre nazioni europee (gli edili e i meccanici inglesi ottennero la riduzione a nove ore già nel 1872, mentre in Russia le definitive otto ore ottenute dagli operai nel 1917 furono una colonna portante delle rivendicazioni rivoluzionarie già dal 1905), non deve però essere letto come una concessione del Governo al proletariato, bensì come la vittoria di una lotta durata più di un secolo e mezzo. 
La giornata di 8 ore infatti, non fu richiesta al padronato o al governo, ma imposta dal basso, dalle rivendicazioni operaie e contadine che cominciarono a imporsi con insistenza nei primi decenni del XVIII secolo, per giungere ai primi riconoscimenti con i moti rivoluzionari del 1848. Va comunque ricordato che Marx non disprezzava affatto la regolamentazione dell'orario per legge (che veniva rifiutata dai proudhoniani) pur sapendo bene che la riduzione effettiva sarebbe stata in definitiva il frutto di mutati rapporti di forza e non soltanto di una legge. Su proposta di Marx infatti, nel primo congresso dell'Internazionale (Ginevra 1866) fu votata questa risoluzione: “Noi dichiariamo che la limitazione dell'orario di lavoro è la condizione indispensabile perché gli sforzi per emancipare i lavoratori non falliscano”, e di conseguenza veniva proposto che il limite legale per l'orario di lavoro fosse di 8 ore.
 La legge varata nel 1923 comunque, non è aliena da ambiguità e colpi di mano da parte dell’esecutivo fascista, e persino un quotidiano certamente non troppo vicino alle istanze dei lavoratori come La Stampa fu in grado di cogliere queste incongruenze in un articolo dell' 11 marzo 1923, di cui trascriviamo un estratto: “La risoluzione delle questioni più importanti (caratteri del lavoro effettivo, ripartizione dell'orario massimo normale, periodi ultra settimanali, reclami regolamentari, deroghe temporanee, dilazione di termini), è riservata al Comitato permanente del lavoro, ossia al giudizio di pochi rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, quasi che il Governo possa sottrarsi a qualunque responsabilità in materia che tocca tutta l'economia nazionale. Ma, sopratutto, si notano nel progetto disposizioni che, per essere in evidente contrasto con la situazione reale del paese e con le possibilità dell'industria, e dell'agricoltura, non avrebbero altro risultato che quello di far sorgere nei lavoratori pericolose illusioni o di fomentare conflitti, come quelle che impongono per il lavoro straordinario un aumento del 25 % sulla paga e un aumento di salario nei casi in cui l'applicazione della legge importi una riduzione dell'orario attualmente in vigore perchè in opposizione con l'interesse e con la volontà dei lavoratori. Quando pure fosse possibile ottenere l'osservanza di queste disposizioni, esse si tradurrebbero in ingiuste limitazioni della libertà dei singoli e in una vessazione dell'industria come quella che vieta il lavoro oltre orario a domicilio o per altre aziende”.

sabato 26 febbraio 2011

Bertone, la terza guerra di Marchionne

Si ricomincia: urla e lacrime, bandiere e insulti, litigi e psicodrammi davanti ai cancelli di una fabbrica. Ieri è successo di tutto. L’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha aperto la sua “terza guerra contrattuale”. Forse ci sarà un nuovo referendum, ma le polemiche sono già iniziate.

Di nuovo “il contratto Pomigliano” proposto in un’azienda, un’offerta “prendere o lasciare”, con la Fiat che dice: “Accettate le nuove regole o ce ne andiamo”. E di nuovo una complessa partita a scacchi con gli operai: sui diritti, sulla produzione, sulla qualità.

Con due sole grandi varianti. La prima: questa volta la Fiat sceglie una fabbrica-simbolo, la più rossa d’Italia, dove la Fiom, ha il 65 per cento (perché?). La seconda: questa volta in gioco non c’è una struttura dove regna l’assenteismo, ma uno stabilimento in cassa integrazione da sei anni che però è un marchio di eccellenza assoluta, dove le mancate presenze non hanno mai superato il 4 per cento (meno della metà del tasso medio piemontese). E dove gli operai – pur di lavorare – hanno accettato di essere “prestati” ad altre società (che senso ha, qui, la battaglia per l’iperproduttività? Lo vedremo presto). Infine, l’ultimo paradosso: questo ennesimo scontro fra Marchionne e la Fiom si celebra dentro impianti contesi dai grandi marchi per produrre le loro vetture di lusso, e che la Fiat ha comprato nel 2009 dai commissari per soli 20 milioni di euro, impegnandosi a investirne 50 e a produrre due modelli: sono passati due anni e, per ora, non sono arrivati né i primi né i secondi.
Ieri queste incrostazioni e queste contraddizioni sono esplose tutte insieme, quando i 1.100 lavoratori si sono riuniti in assemblea plenaria per votare un documento in vista del prossimo incontro con i manager Fiat, programmato per lunedì. A stragrande maggioranza, le tute blu della Bertone hanno approvato il documento della Fiom, che offre alla Fiat di rinunciare al “contratto Mirafiori” in cambio di autoregolamentazione e monitoraggio del tasso di assenteismo. Un voto prevedibile: nelle elezioni della Rsu i delegati della Cgil sono stati 10, mentre Uilm, Fim e Fismic (il sindacato aziendale) si sono spartiti solo 5 seggi (1 a testa e 3 Fismic). Così, a fine assemblea è esplosa la tensione: chi accusava Fim e Uilm di fare il gioco del “canadese”, chi, come Cono Meluso, del Fismic, attaccava: “È vero, la Fiat aveva preso un impegno, nel 2009. Ma se ora la Cgil dice no al nuovo contratto e la Fiat se ne va, noi che ci guadagniamo?”. Un operaio Fim, Pasquale Borraccia, grida alla sua segretaria: “Non ci tutelate, quel contratto fa schifo!”.

L’accordo del 2009 era questo: produrre “due modelli Chrysler”. Ma nell’ultimo colloquio il piano è cambiato: “Ora – dice Margot Calliero, della Film – qui vogliono una Maserati”. Anzi, la cosiddetta “Maseratina”: una nuova vettura che sfrutta il marchio di ultralusso, ma che dovrebbe costare 40-50 mila euro, come una Mercedes: “Ne venderemo 50 mila”, ha annunciato Marchionne. Gli uomini della Cgil sono più prudenti: “Io stapperei lo champagne – spiega Giacomo Zulianello – però l’anno scorso la Maserati ha venduto 5.817 vetture. Quante possibilità ci sono di aumentare il fatturato del 1000 per cento?”.

“Questo – spiega Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom – era l’atelier della macchina. Il gioiello europeo: qui le carrozzerie si chiamano, non a caso, ‘abbigliamento’. Questa trattativa può essere il terzo atto di un muro contro muro con Marchionne che non porta da nessuna parte. Oppure l’occasione per costruire un nuovo percorso condiviso. Forse – prova a ipotizzare Airaudo con un sorriso – lo scopo di Marchionne è quello di farsi bocciare il piano, per dire che sono stati i lavoratori a non volerlo? Spero di no”. Margot Calliero a questo interrogativo scuote la testa: “E allora? Io ho paura che la Fiat dica: ‘Arrivederci e grazie’. In ogni caso, se la Fiom dice no, noi non firmeremo accordi separati in una fabbrica dove loro hanno la maggioranza. Ma anche la responsabilità”.

Il Fatto

giovedì 27 gennaio 2011

mercoledì 26 gennaio 2011

Occupata la sede Uil di Torino. Noi stiamo con chi lavora non con chi sta al potere.

Dire NO oggi, scegliere da che parte stare e impegnarsi nella lotta vuol dire ripartire da quel poco che abbiamo per costruire l'altro di cui abbiamo bisogno. Schierarsi al fianco dei lavoratori della Fiat, come a quelli Pomigliano nei mesi scorsi, significa oggi combattere una battaglia che non si esaurisce nelle singole vertenze o nelle singole fabbriche, ma che si concretizza nella generalizzazione della lotta, per dar voce a chi tra studenti, lavoratori e precari si vede sempre di più levar tempo, risorse, capacità, in poche parole, il proprio futuro.

Con questa nostra azione vogliamo sottolineare, se ancora ce ne fosse bisogno, come il tempo della concertazione sia finito, lo dimostrano i fatti e il fallimento di questa classe dirigente, politica e sindacale, sempre più rinunciataria e al ribasso, a cui la vicenda Mirafiori ci ha messo di fronte. Il futuro è di chi, con coraggio, lotta e fa i propri interessi ed è proprio con questo spirito che rilanciamo la partecipazione allo Spezzone Sociale dello sciopero del 28 gennaio.

mercoledì 19 gennaio 2011

lunedì 17 gennaio 2011

Riprendiamo il discorso referendum Fiat. No non li giustifico

Parlando con diverse persone, ho notato che in esse c'è una giustificazione verso gli operai che a Mirafiori hanno votato Si. C'è il mutuo da pagare, il figlio da mandare all'università, l'altro figlio ultratrentenne che vive ancora con mamma e papà, ecc. ecc.
 Personalmente non li giustifico. Sarà forse che tra il 46% dei No, non ci sia gente che abbia le difficoltà dette sopra? Sarà forse che tutti i promotori del no vivono di lusso e brindano a champagne e caviale? Se così fosse, perchè fanno gli operai? Sono masochisti?
No, hanno una dignità da difendere e l'hanno difesa. Non finirò mai di ringraziarli.
Saranno i tempi, sarà la pigrizia, sarà il berlusconismo, sarà quello che volete, ma si è persa la coscienza di classe. In molti hanno dimenticato che essere operai (nel senso più ampio del termine), non è una vergogna. Appartenere al ceto medio-basso, non è avere la peste. Si offre manodopera in cambio di un salario, ma non per questo bisogna svendere i propri diritti.
Questi servi del Si, come pensano un domani di dare un avvenire ai loro figli? Giocando sempre al ribasso? E come potranno mai mantenere i loro figli all'Università se non avranno i soldi e il tempo per seguirli nella loro crescita. Cosa insegneranno ai loro figli: che va bene adeguarsi alla logica del ricatto? Alla logica del più forte?
E allora non lamentiamoci della mafia, perchè la mafia usa gli stessi metodi.
Diciamolo forte: siamo un popolo culturalmente mafioso e ci piace esserlo.
Spiegatemi perchè la Germania ha accorpato 50 milioni di persone ed ha il pil di gran lunga superiore al nostro, mentre noi abbiamo una classe dirigente politica al soldo dei mafiosi? Perchè noi per essere global, dobbiamo diventare come i minatori italiani che andavano a lavorare in Belgio, e in Francia un operaio guadagna più di operaio italiano e lavora 35 ore a settimana?
No, non li giustifico.

domenica 16 gennaio 2011

Pane e libertà. Onore a Di Vittorio

Dedicato a tutti quegli esseri inutili che calano le braghe davanti a tutto e tutti.
Vergognatevi. Voi che avete votato Si a Mirafiori, siete solo dei servi.

sabato 15 gennaio 2011

Oggi sono triste

A caldo ho dato la colpa agli impiegati, ma ora a sangue freddo, dico che oggi è un giorno triste per i lavoratori tutti. Lo è per gli impiegati del si come per gli operai del si. E se gli impiegati si possono "giustificare" perchè non stanno in catena di montaggio ma vedranno lesi anch'essi i loro diritti, gli operai che hanno votato si si devono solo vergognare e sputarsi in faccia.
Poi la si può leggere come una vittoria perchè il 46% non è cosa da poco e anche chi ha votato si nella maggior parte dei casi si è visto ricattato, ma nel complesso oggi torniamo agli anni 50. Altro che progresso!

venerdì 14 gennaio 2011

giovedì 13 gennaio 2011

lunedì 10 gennaio 2011

Contagio di allucinazioni: da Repubblica ai tg vedono tutti le BR

L'allucinazione, si sa, è un calcolo combinatorio della mente che connette elementi sbagliati credendoli realtà. In anni lontani questo potere era principalmente relegato all'assuzione di sostanze stupefacenti più o meno portatrici di potere allucinogeno.
Oggi, senza apparente assunzione di sostanze, questo potere è tutto nella stampa e nei tg. I fatti: dalla prima serata sia i siti dei maggiori quotidiani che i tg dell'ora di cena parlando di scritte brigatiste (in modo più o meno velato a Torino).
Siamo nella settimana che precede il referendum di Mirafiori e bisogna caricare la vigilia. Rappresentando un Marchionne assediato dal montante terrorismo, di cui le scritte sarebbero prova, e suggerendo che chi gli vota contro sarebbe fiancheggiatore delle nuove BR.
L'ignoranza di Repubblica e dei tg però è sovrana e l'allucinazione regredisce presto a botta presa bevendo troppo Barbera. Le stelle a cinque punte non sono cerchiate, brand brigatista d'eccellenza, e non ci sono scritte che minaccino qualcuno od annuncino campagne militari. Solo uno slogan ironico sulla produzione d'auto in Cina ed in Italia.
Insomma si può parlare di brigatismo quanto di calata dei vegani (nel senso di abitanti di Vega) su un centro commerciale di Torino. Questo genere di propaganda, isterica e dozzinale, sarebbe quella che viene chiamata informazione democratica. Il bello è che questo referendum, senza informazione e dibattito, sarà celebrato come uno strumento di democrazia. Al confronto le votazioni di Xfactor o dell'Isola dei Famosi sono modelli aurei di democrazia.
Senza soste

venerdì 24 dicembre 2010

Festeggiamo l'accordo di Mirafiori

Festeggiamo l'accordo di Mirafiori. Tutti contenti. Evviva.
Cari Bonanni, Angeletti, Marchionne, Sacconi e Berlusconi, ve ne siamo grati. Perchè non ci avete pensato prima?
E' proprio un bell'accordo. Abbiamo il futuro in mano. Grazie, grazie, grazie.
Un plauso a Fassino e Chiamparino. Un plauso a Cota e Morgando. Un plauso alla Cisl e alla Uil.
Un plauso a tutti. Ancora grazie.
Che bravi che siete tutti. E dire che finalmente c'è qualcuno che pensa al nostro futuro.