Odio gli indifferenti
UN GIORNO NON PUO' VIVERE SENZA LA SUA UTOPIA...

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giovedì 10 novembre 2011
Il Grande golpe globale-Chi sono Monti e Papademos?
Tutto si collega con la nuova Gendarmeria europea.
martedì 22 marzo 2011
Ognuno a cazzi suoi, ognuno per il proprio tornaconto. Tutti d'accordo nel chiamarlo intervento umanitario. Mah!
C'è molta confusione nei cieli e sulla terra. C'è molta confusione nelle stanze dei bottoni.
Intervento militare in Libia, non appoggiato da alcuni paesi importanti, intervento cominciato con una presa di posizione della Francia, prima che l'Onu desse il via libera. Ancora una volta l'Europa non è unita e a prevalere sono come sempre gli interessi economici mascherati da intervento umanitario. L'Italia tentenna visti i precedenti rapporti di amicizia con la Libia, la Francia è interventista perchè in Libia c'è il petrolio e vuole avere un ruolo di comando nel mediterraneo, la Russia e la Cina sono contrarie perchè proprio in Libia stavano investendo, gli Usa si vogliono tirar fuori. Tutti però hanno dato il tempo a Gheddafi di riorganizzarsi per poi intervenire militarmente. E'più di impatto che stare a discutere intorno ad un tavolo.
Gheddafi è un tiranno, ma fino a ieri intratteneva rapporti con tutto il mondo "democratico", con tanto di accoglienza in pompa magna.
E in Italia come la si pensa? Intanto c'è la Lega che come preoccupazione ha i cinque mila clandestini lasciati per giorni volontariamente a Lampedusa in modo da creare un dissenso tra l'opinione pubblica. Arriva lo straniero, dobbiamo difenderci dalle invasioni (fra 2 mesi si vota). Poi c'è il Governo che prima aderisce alle decisioni dei francesi e poi ci ripensa ( facciamo un comando per conto nostro). L'opposizione anch'essa, prima dice ok all'intervento, poi una parte di essa si smarca, poi c'è chi dice sono d'accordo all'intervento ma non così. Mah
Intanto in Libia continua la guerra civile e gli avvoltoi occidentali continuano a guardare ai pozzi di petrolio come missione umanitaria.
E' proprio il caso di dire: Uh Mammà, ci vengono a liberar.
Intervento militare in Libia, non appoggiato da alcuni paesi importanti, intervento cominciato con una presa di posizione della Francia, prima che l'Onu desse il via libera. Ancora una volta l'Europa non è unita e a prevalere sono come sempre gli interessi economici mascherati da intervento umanitario. L'Italia tentenna visti i precedenti rapporti di amicizia con la Libia, la Francia è interventista perchè in Libia c'è il petrolio e vuole avere un ruolo di comando nel mediterraneo, la Russia e la Cina sono contrarie perchè proprio in Libia stavano investendo, gli Usa si vogliono tirar fuori. Tutti però hanno dato il tempo a Gheddafi di riorganizzarsi per poi intervenire militarmente. E'più di impatto che stare a discutere intorno ad un tavolo.
Gheddafi è un tiranno, ma fino a ieri intratteneva rapporti con tutto il mondo "democratico", con tanto di accoglienza in pompa magna.
E in Italia come la si pensa? Intanto c'è la Lega che come preoccupazione ha i cinque mila clandestini lasciati per giorni volontariamente a Lampedusa in modo da creare un dissenso tra l'opinione pubblica. Arriva lo straniero, dobbiamo difenderci dalle invasioni (fra 2 mesi si vota). Poi c'è il Governo che prima aderisce alle decisioni dei francesi e poi ci ripensa ( facciamo un comando per conto nostro). L'opposizione anch'essa, prima dice ok all'intervento, poi una parte di essa si smarca, poi c'è chi dice sono d'accordo all'intervento ma non così. Mah
Intanto in Libia continua la guerra civile e gli avvoltoi occidentali continuano a guardare ai pozzi di petrolio come missione umanitaria.
E' proprio il caso di dire: Uh Mammà, ci vengono a liberar.
domenica 20 marzo 2011
Altro che "No fly zone": un'altra guerra made in Nato
Attacco francese, si combatte a Bengasi e Misurata. Ormai è guerra senza quartiere

A Bengasi si combatte con le truppe lealiste in città, almeno trenta morti. Civili in fuga verso l'Egitto. Almeno questo dice al-Jazeera, alla quale andrà dedicata un'analisi a parte, alla fine di questa rivoluzione nel mondo arabo. Al-Jazeera dice, tutti riprendono. Il caccia abbattuto sui cieli di Bengasi, in poche ore, è diventato un velivolo mal manovrato dai ribelli e non un caccia di Gheddafi. Per ore, però, tutti l'hanno raccontata così. Al-Jazeera dice, tutti ripetono. L'Europa si lancia in guerra, come avviene sempre più spesso dopo la caduta del muro di Berlino.
No fly zone, si dice. Quindi rendere inefficaci i caccia bombardieri libici, ma anche - come visto - colpire i mezzi a terra. E quindi rendere inoffensivi anche eventualmente le strutture militari di Gheddafi, che in parole povere significa bombardare Tripoli. Dopo? Nessuno lo dice, tutti spergiurano che mai si entrerà via terra, mentre Gheddafi prende sempre più la cera di un grottesco Nerone e minaccia tutti.
Questa giornata di guerra ci restituisce un protagonista, anzi due. Il presidente Nicholas Sarkozy e la repubblica francese. Dopo la vergogna di aver offerto, ancora a poche ore prima che Ben Alì scappasse all'estero, le loro truppe speciali per sedare la rivolta. Anche trecento tunisini erano stati massacrati, ma l'Eliseo pensava a tener salda una dittatura amica. Con Gheddafi no, bisognava rilanciare l'immagine di Parigi e di Sarkozy. Nell'imbarazzo cronico degli italiani, che potrebbero trovarsi bersaglio di armi che loro stessi hanno regalato a Gheddafi neanche un paio di anni fa.
Sarà ancora una volta una scelta selettiva, che nessuno sentirà il bisogno si spiegare. Perché, a Manama, in Bahrein, le truppe saudite marciano per tenere saldo il trono di un emiro che massacra gli sciiti? perché a Sana'a, in Yemen, nessuno ritiene di dover fermare il presidente Saleh che manda i corpi speciali contro gli studenti? Troppe domande, non si sentono risposte, mentre Sarkozy fissa la camera con il suo stile aggressivo e chiede a francesi e cittadini di tutto il mondo come potrebbe l'Europa girarsi dall'altra parte?
Bengasi terrà, a questo punto. La guerra diventerà uno stillicidio, se non ci sarà una nuova risoluzione per truppe di terra. La cosa si complica enormemente. Una situazione imbarazzante, ottenuta ad hoc però. Lasciando che Gheddafi riconquistasse campo, città dopo città. In modo che l'aspetto emotivo fosse troppo forte e non puzzasse di Iraq e di petrolio.
Adesso comincia la terza fase di questa crisi. Prima la rivolta, senza un sostegno evidente. Poi la riscossa di Gheddafi, senza un sostegno ai ribelli, né evidente né nascosta. Adesso 'arrivano i nostri', dopo un mese di attesa e dopo sette anni - dal 2003 - di criminale complicità con Gheddafi. E domani si sentirà chiedere: "Cosa diranno i pacifisti?", come se la colpa fosse degli unici che dal 2003 - e da sempre - denunciavano i crimini di Gheddafi e di coloro, anche più colpevoli di lui, che lo trattavano da statista.
Cristian EliaPeacereporter
venerdì 5 marzo 2010
Anche per noi i morti non sono tutti uguali
Nell’arco di meno di un mese a Galatina, paese dell’entroterra leccese, si sono celebrati i funerali di due compaesani morti fuori della terra natale. Mai funerali sono stati tanto differenti e significativi nella loro diversità. Nel capitalismo i morti come i vivi non sono tutti uguali.
Ai primi di febbraio ha fatto ritorno a Galatina la salma di Sergio Marra, l’operaio
che, avendo perso il lavoro, si era dato fuoco sabato 30 gennaio a Bergamo. Marra era
stato operaio per quattro anni presso la “Elgicolor Plast srl”, azienda di Ciserano
(Bg). Da agosto 2009 non riceveva il salario; non solo: l’azienda non gli versava
neppure i cedolini paga, cosa che rendeva all’operaio praticamente impossibile
dimostrare che stava continuando a lavorare presso lo stabilimento. Lo scorso
novembre Marra aveva deciso di presentare dimissioni “per giusta causa” e si era
rivolto alla Cgil di Bergamo per intraprendere una vertenza sindacale e richiedere i
salari arretrati che gli spettavano. Ma la legge non è dalla parte degli operai (la
strada del tribunale propugnata dal sindacato è perdente per gli operai, da soli
contro un colossale apparato giuridico organizzato appositamente contro essi), le
cose sono andate per le lunghe, Marra non aveva trovato un altro lavoro, infine si è
fatto cogliere dalla disperazione.
Quasi nessuno aspettava Marra. Nessun rappresentante delle istituzioni, nessun
politico, nessun giornalista. Pochi, gli affetti veri, l’hanno accompagnato al
cimitero. La sua è stata una morte “nascosta”, il suo è stato un funerale
“dimenticato”. A chi interessa di un operaio che, distrutto dalla perdita del lavoro,
dalle vessazioni quotidiane e da una vita da sfruttato, si ammazza? Per molti c’è
quasi da vergognarsi e da ridere di un uomo che si toglie la vita perché ha perso il
lavoro, di un “debole”, un “poveraccio”, perché dunque riflettere su che cosa abbia
potuto spingere un giovane di 35 anni a farla finita per sempre?
Poi il 1° marzo a Galatina è giunta la salma di Pietro Antonio Colazzo, 47 anni,
“misterioso” consigliere diplomatico dell’ambasciata italiana a Kabul e numero due
dell’Aise, l’Agenzia di informazioni e sicurezza esterna, ucciso il 27 febbraio a
Kabul durante un attacco dei partigiani in lotta contro l’occupazione militare,
mentre dava indicazioni alla polizia afgana per individuare gli autori di un
attentato all’hotel Park Residence. La bara è arrivata avvolta nel tricolore, ad
attenderla c’erano un migliaio di galatinesi schierati in due ali di folla in piazza
davanti alla chiesa, carabinieri in alta uniforme, il prefetto di Lecce Mario Tafaro.
I giornali locali e nazionali, le televisioni e l’informazione on line lo hanno
riverito: “Giù il cappello per l’eroe di Kabul”, “Galatina si ferma per il saluto
all’agente segreto Colazzo”. I giornalisti si sono peritati di sottolineare che “il
‘dottore’ è stato salutato da uomini anziani che si sono tolti il cappello e donne in
lacrime”. La funzione religiosa è stata officiata dal vescovo di Otranto Donato Negro
con l’Ordinario militare italiano Vincenzo Pelvi, era presente il sottosegretario
alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Gli è stato tributato un applauso lungo
tre minuti. I giornalisti hanno chiuso scrivendo che “i galatinesi arrivati in piazza
per salutarlo non riescono a nascondere la fierezza dell’appartenenza nonostante il
dolore. Tutti non lo conoscevano. E tutti ora dicono: era uno di noi”. Anche il
presidente della Regione Nichi Vendola non ha dimenticato di inviare alla sorella
dell’agente segreto un telegramma in cui si è preoccupato di scrivere: “Sono
portavoce del dolore e del turbamento dell’intera comunità pugliese per questo lutto
che ancora una volta colpisce la Puglia. Esprimo a lei e alla sua famiglia il mio
profondo cordoglio per la tragica scomparsa di suo fratello. Il senso di
responsabilità e la dedizione al delicato impegno cui sono chiamati molti italiani
impegnati all’estero in missioni di pace non deve mai cadere nell’oblio. Il
sacrificio estremo di queste vittime del terrore merita l’apprezzamento e la
gratitudine di tutti noi”.
Che società infame è questa che si dimentica di un operaio morto per la mancanza di
lavoro ed invece esalta e magnifica un agente segreto il cui “lavoro” ben pagato era
quello di stanare, in un paese straniero occupato militarmente anche dall’esercito
italiano, quegli uomini, operai, contadini, disoccupati, che si oppongono con
determinazione e con tutti i mezzi, anche col sacrificio della propria vita,
all’invasione militare mascherata da “missione di pace”? È una società da combattere
e da eliminare. Operai, ricordiamolo sempre, anche per noi i morti non sono tutti
uguali.
AsLO www.operai.net
Ai primi di febbraio ha fatto ritorno a Galatina la salma di Sergio Marra, l’operaio
che, avendo perso il lavoro, si era dato fuoco sabato 30 gennaio a Bergamo. Marra era
stato operaio per quattro anni presso la “Elgicolor Plast srl”, azienda di Ciserano
(Bg). Da agosto 2009 non riceveva il salario; non solo: l’azienda non gli versava
neppure i cedolini paga, cosa che rendeva all’operaio praticamente impossibile
dimostrare che stava continuando a lavorare presso lo stabilimento. Lo scorso
novembre Marra aveva deciso di presentare dimissioni “per giusta causa” e si era
rivolto alla Cgil di Bergamo per intraprendere una vertenza sindacale e richiedere i
salari arretrati che gli spettavano. Ma la legge non è dalla parte degli operai (la
strada del tribunale propugnata dal sindacato è perdente per gli operai, da soli
contro un colossale apparato giuridico organizzato appositamente contro essi), le
cose sono andate per le lunghe, Marra non aveva trovato un altro lavoro, infine si è
fatto cogliere dalla disperazione.
Quasi nessuno aspettava Marra. Nessun rappresentante delle istituzioni, nessun
politico, nessun giornalista. Pochi, gli affetti veri, l’hanno accompagnato al
cimitero. La sua è stata una morte “nascosta”, il suo è stato un funerale
“dimenticato”. A chi interessa di un operaio che, distrutto dalla perdita del lavoro,
dalle vessazioni quotidiane e da una vita da sfruttato, si ammazza? Per molti c’è
quasi da vergognarsi e da ridere di un uomo che si toglie la vita perché ha perso il
lavoro, di un “debole”, un “poveraccio”, perché dunque riflettere su che cosa abbia
potuto spingere un giovane di 35 anni a farla finita per sempre?
Poi il 1° marzo a Galatina è giunta la salma di Pietro Antonio Colazzo, 47 anni,
“misterioso” consigliere diplomatico dell’ambasciata italiana a Kabul e numero due
dell’Aise, l’Agenzia di informazioni e sicurezza esterna, ucciso il 27 febbraio a
Kabul durante un attacco dei partigiani in lotta contro l’occupazione militare,
mentre dava indicazioni alla polizia afgana per individuare gli autori di un
attentato all’hotel Park Residence. La bara è arrivata avvolta nel tricolore, ad
attenderla c’erano un migliaio di galatinesi schierati in due ali di folla in piazza
davanti alla chiesa, carabinieri in alta uniforme, il prefetto di Lecce Mario Tafaro.
I giornali locali e nazionali, le televisioni e l’informazione on line lo hanno
riverito: “Giù il cappello per l’eroe di Kabul”, “Galatina si ferma per il saluto
all’agente segreto Colazzo”. I giornalisti si sono peritati di sottolineare che “il
‘dottore’ è stato salutato da uomini anziani che si sono tolti il cappello e donne in
lacrime”. La funzione religiosa è stata officiata dal vescovo di Otranto Donato Negro
con l’Ordinario militare italiano Vincenzo Pelvi, era presente il sottosegretario
alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Gli è stato tributato un applauso lungo
tre minuti. I giornalisti hanno chiuso scrivendo che “i galatinesi arrivati in piazza
per salutarlo non riescono a nascondere la fierezza dell’appartenenza nonostante il
dolore. Tutti non lo conoscevano. E tutti ora dicono: era uno di noi”. Anche il
presidente della Regione Nichi Vendola non ha dimenticato di inviare alla sorella
dell’agente segreto un telegramma in cui si è preoccupato di scrivere: “Sono
portavoce del dolore e del turbamento dell’intera comunità pugliese per questo lutto
che ancora una volta colpisce la Puglia. Esprimo a lei e alla sua famiglia il mio
profondo cordoglio per la tragica scomparsa di suo fratello. Il senso di
responsabilità e la dedizione al delicato impegno cui sono chiamati molti italiani
impegnati all’estero in missioni di pace non deve mai cadere nell’oblio. Il
sacrificio estremo di queste vittime del terrore merita l’apprezzamento e la
gratitudine di tutti noi”.
Che società infame è questa che si dimentica di un operaio morto per la mancanza di
lavoro ed invece esalta e magnifica un agente segreto il cui “lavoro” ben pagato era
quello di stanare, in un paese straniero occupato militarmente anche dall’esercito
italiano, quegli uomini, operai, contadini, disoccupati, che si oppongono con
determinazione e con tutti i mezzi, anche col sacrificio della propria vita,
all’invasione militare mascherata da “missione di pace”? È una società da combattere
e da eliminare. Operai, ricordiamolo sempre, anche per noi i morti non sono tutti
uguali.
AsLO www.operai.net
mercoledì 4 novembre 2009
4 novembre, quale vittoria? Niente da festeggiare. NO ALLA GUERRA
Il caro armato
Esce oggi IL CARO ARMATO, il libro che mette sull'attenti le nostre Forze Armate. Il caro armato. Spese, affari e sprechi delle Forze Armate italiane. L'Italia, comè tradizione, gioca in difesa: nel 2010 le spese militari lasceranno sul terreno dei conti pubblici oltre 23.500 milioni di euro. Il nostro Paese, oggi all'ottavo posto al mondo per spese militari, ha più di 30 missioni internazionali in corso e nei prossimi anni ha in programma di acquistare, per citare solo uno dei progetti sui cosiddetti sistemi darma, 131 caccia per 13 miliardi di euro. La struttura delle Forze Armate è cambiata: il Nuovo Modello di Difesa ha spostato la linea del fronte dai confini geografici a quelli dei nostri interessi economici, ovunque siano ritenuti a rischio. La leva obbligatoria è stata sospesa. Ma scopriamo che, nonostante le riforme, l'esercito professionale conta oggi 190mila uomini, tra i quali il numero dei comandanti -600 generali e ammiragli, 2.660 colonnelli e decine di migliaia di altri ufficiali- supera quello dei comandati. Tra le righe scopriamo che gli arsenali sono pieni nonostante la crisi: nei prossimi anni è previsto l'acquisto di faraonici sistemi d'arma dalla portaerei Cavour (1.390 milioni di euro), alle fregate FREMM (5.680 milioni) al cacciabombardiere Joint Srike Fighter (13 miliardi di euro): il mercato delle armi, con i Governi come principali committenti, è fiorente ma tutt'altro che libero, come indica la contiguità dei decisori: politici, vertici delle Forze Armate, industria bellica. Il libro affronta alcune delle scelte più controverse in tema di Forze Armate e relativi costi: le missioni internazionali, la presenza dei militari in città, le servitù militari, il destino degli immobili della Difesa, l'abbandono del servizio civile; per arrivare agli scandali veri e propri, tra cui sprechi e inefficienze clamorose, e la triste vicenda delluranio impoverito. In appendice il punto sulle spese militari in Europa e nel mondo. Il caro armato, in conclusione, con la forza dei numeri, passa come un cingolato sulla casta militare e i suoi privilegi e indica con chiarezza quale sia la strada per riforme e cambiamenti puntuali e strutturali, in un'ottica di efficienza e soprattutto di pace.
Gli autori: Massimo Paolicelli, giornalista, scrive di pace e obiezione di coscienza ed è presidente di Associazione obiettori nonviolenti. Francesco Vignarca è coordinatore di Rete Italiana per il Disarmo e già autore di Mercenari Spa (Bur-Rizzoli).
mercoledì 7 ottobre 2009
Un sacerdote: "mercenari i nostri parà"

Diventa un caso diplomatico all'interno della Chiesa lombarda la presa di posizione di don Giorgio de Capitani, sacerdote di Monte di Rovagnate (Lecco), che nella home page del proprio sito Internet, ha definito "mercenari" i paracadutisti italiani in Afghanistan, chiedendosi "perché onorare la loro morte?".
La notizia è nota. È andata su tutti i quotidiani, in tv, è rincorsa in tutto il Paese. Appunto, come una folgore. Sei militari italiani, parà della Folgore, sono morti e altri quattro sono rimasti feriti in Afghanistan in seguito a un attentato kamikaze che ha colpito un convoglio della Nato sulla strada che porta dal centro cittadino all'aeroporto della capitale, Kabul.
Tutti hanno espresso rabbia, disapprovazione, con le solite parole di rito. Ipocrite. Come si fa a non imprecare contro gli attentatori, vigliacchi, delinquenti, ecc. ecc. ? Il nostro Ministro Ignazio La Russa - è stato veramente efficace: "vigliacchi, infami, non ci fermeranno". Contro chi l'onorevole (!) ha scagliato queste parole? Non lo sa nemmeno lui. "Non ci fermeranno": ma dove vorrebbe andare il Ministro? Lo sapete voi? Io no.
Gli italiani, lo sappiamo, sono un popolo dalle lacrime facili, dalle emozioni immediate, pronti subito a parlare del milan o dell'inter. Ma si dicono cristiani, perciò dalla parte delle apparenti vittime, vittime di un sistema che le ha contagiate di una esaltazione paranoica patriottica.
Perché non riflettere seriamente?
Subito ci si lascia prendere dalla paura di essere tacciati di antipatriottismo o, ancor peggio, di quella anti-italianità che sembra la vergogna del miglior italiano.
Si ha paura a dire ciò che tanti pensano, proprio perché ci si sente addosso tutti i giudizi di un Paese che in certe occasioni, solo in certe occasioni, si sente in dovere di stare unito. Sembra che solo l'amor di Patria unisca gli italiani, non interessa se poi su tutto il resto si dividono fino a dilaniare la stessa Costituzione.
Perché, allora, non si ha il coraggio di dire che i nostri militari che si trovano nelle zone calde di una guerra non sono altro che mercenari, pagati profumatamente dal governo, cioè da noi, per svolgere un mestiere (perché parlare di "missione", parola nobile da lasciare solo ai testimoni della carità?) che consiste nello sparare su bersagli umani, senza distinguere troppo se si tratta di bambini o di nemici armati?
Quanti bambini morti o feriti gravemente, effetti collaterali di quel brutto mestiere che si chiama guerra!
I nostri militari firmano, sanno quello a cui vanno incontro, vengono stipendiati, e perché allora idolatrarli quando ci lasciano la pelle?
Ma certo che sono persone, e che di fronte alla morte tutti meritano rispetto. Ma proprio tutti?
E chi piange i morti a causa della fame, della violenza, delle ingiustizie?
Perché onorare la morte di mercenari, quando ben pochi si ricordano dei veri testimoni della carità e della giustizia?
Chi si è ricordato e si ricorda di Teresa Sarti, moglie di Gino Strada? Una grande donna, altro che i maschioni fascistoidi della Folgore!
Perché a lei nessun riconoscimento dello Stato?
Lo Stato si è ricordato di Mike Buongiorno, e l'ha gratificato anche economicamente con un funerale di Stato, ovvero tutto a spese dei cittadini italiani.
Non parliamo della Chiesa che ha tributato al super-divorziato gli onori di un santo, con solenni esequie celebrate in quel Duomo che, se potesse parlare, urlerebbe tutta la propria rabbia. Perché due pesi e due misure?
Mercenari, sì, i nostri soldati, anche se, dicono, ormai si va verso un esercito di professionisti. In fondo, l'abbiamo voluto noi: abbiamo lottato, anche con l'obiezione di coscienza, perché si potesse rifiutare il servizio militare. Ed ecco i frutti: un esercito di gente altamente specializzata per sparare "meglio", per colpire "meglio" l'avversario.
E, infine, non ci si arrabbia al pensiero di milioni di soldati che nelle precedenti guerre mondiali sono morti, senza ricevere una lira, senza alcun riconoscimento da parte dello Stato? Poveri cristi: obbligati, pena il delitto di diserzione, ad abbracciare una divisa e andare in guerra. Per quale scopo?
E noi siamo qui a onorare dei mercenari?
Notabene. Perché il Governo, o chi per esso, non fa una legge che almeno proibisca a chi è sposato e soprattutto ha dei figli di fare il militare nelle zone a rischio?
Il sito di padre Giorgio: www.dongiorgio.it
da:Repubblica
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