RIBELLARSI E' GIUSTO

ne servi ne padroni

Odio gli indifferenti

"Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. Antonio Gramsci

UN GIORNO NON PUO' VIVERE SENZA LA SUA UTOPIA...

Così l’uomo deve vivere andare senza frontiere come bambini dietro un aquilone Correre giocare ridere vivere Non girare mai il volto anche quando a te non tocca Amare questa terra dove nel nostro cuore sventola rossa come il sole il simbolo di una nuova era Cammina uomo E va senza tempo Ridere amare lottare e poi infine invecchiare E passerà per questa terra come una luce di libertà

venerdì 5 marzo 2010

Anche per noi i morti non sono tutti uguali

Nell’arco di meno di un mese a Galatina, paese dell’entroterra leccese, si sono celebrati i funerali di due compaesani morti fuori della terra natale. Mai funerali sono stati tanto differenti e significativi nella loro diversità. Nel capitalismo i morti come i vivi non sono tutti uguali.

Ai primi di febbraio ha fatto ritorno a Galatina la salma di Sergio Marra, l’operaio
che, avendo perso il lavoro, si era dato fuoco sabato 30 gennaio a Bergamo. Marra era
stato operaio per quattro anni presso la “Elgicolor Plast srl”, azienda di Ciserano
(Bg). Da agosto 2009 non riceveva il salario; non solo: l’azienda non gli versava
neppure i cedolini paga, cosa che rendeva all’operaio praticamente impossibile
dimostrare che stava continuando a lavorare presso lo stabilimento. Lo scorso
novembre Marra aveva deciso di presentare dimissioni “per giusta causa” e si era
rivolto alla Cgil di Bergamo per intraprendere una vertenza sindacale e richiedere i
salari arretrati che gli spettavano. Ma la legge non è dalla parte degli operai (la
strada del tribunale propugnata dal sindacato è perdente per gli operai, da soli
contro un colossale apparato giuridico organizzato appositamente contro essi), le
cose sono andate per le lunghe, Marra non aveva trovato un altro lavoro, infine si è
fatto cogliere dalla disperazione.
Quasi nessuno aspettava Marra. Nessun rappresentante delle istituzioni, nessun
politico, nessun giornalista. Pochi, gli affetti veri, l’hanno accompagnato al
cimitero. La sua è stata una morte “nascosta”, il suo è stato un funerale
“dimenticato”. A chi interessa di un operaio che, distrutto dalla perdita del lavoro,
dalle vessazioni quotidiane e da una vita da sfruttato, si ammazza? Per molti c’è
quasi da vergognarsi e da ridere di un uomo che si toglie la vita perché ha perso il
lavoro, di un “debole”, un “poveraccio”, perché dunque riflettere su che cosa abbia
potuto spingere un giovane di 35 anni a farla finita per sempre?
Poi il 1° marzo a Galatina è giunta la salma di Pietro Antonio Colazzo, 47 anni,
“misterioso” consigliere diplomatico dell’ambasciata italiana a Kabul e numero due
dell’Aise, l’Agenzia di informazioni e sicurezza esterna, ucciso il 27 febbraio a
Kabul durante un attacco dei partigiani in lotta contro l’occupazione militare,
mentre dava indicazioni alla polizia afgana per individuare gli autori di un
attentato all’hotel Park Residence. La bara è arrivata avvolta nel tricolore, ad
attenderla c’erano un migliaio di galatinesi schierati in due ali di folla in piazza
davanti alla chiesa, carabinieri in alta uniforme, il prefetto di Lecce Mario Tafaro.
I giornali locali e nazionali, le televisioni e l’informazione on line lo hanno
riverito: “Giù il cappello per l’eroe di Kabul”, “Galatina si ferma per il saluto
all’agente segreto Colazzo”. I giornalisti si sono peritati di sottolineare che “il
‘dottore’ è stato salutato da uomini anziani che si sono tolti il cappello e donne in
lacrime”. La funzione religiosa è stata officiata dal vescovo di Otranto Donato Negro
con l’Ordinario militare italiano Vincenzo Pelvi, era presente il sottosegretario
alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Gli è stato tributato un applauso lungo
tre minuti. I giornalisti hanno chiuso scrivendo che “i galatinesi arrivati in piazza
per salutarlo non riescono a nascondere la fierezza dell’appartenenza nonostante il
dolore. Tutti non lo conoscevano. E tutti ora dicono: era uno di noi”. Anche il
presidente della Regione Nichi Vendola non ha dimenticato di inviare alla sorella
dell’agente segreto un telegramma in cui si è preoccupato di scrivere: “Sono
portavoce del dolore e del turbamento dell’intera comunità pugliese per questo lutto
che ancora una volta colpisce la Puglia. Esprimo a lei e alla sua famiglia il mio
profondo cordoglio per la tragica scomparsa di suo fratello. Il senso di
responsabilità e la dedizione al delicato impegno cui sono chiamati molti italiani
impegnati all’estero in missioni di pace non deve mai cadere nell’oblio. Il
sacrificio estremo di queste vittime del terrore merita l’apprezzamento e la
gratitudine di tutti noi”.
Che società infame è questa che si dimentica di un operaio morto per la mancanza di
lavoro ed invece esalta e magnifica un agente segreto il cui “lavoro” ben pagato era
quello di stanare, in un paese straniero occupato militarmente anche dall’esercito
italiano, quegli uomini, operai, contadini, disoccupati, che si oppongono con
determinazione e con tutti i mezzi, anche col sacrificio della propria vita,
all’invasione militare mascherata da “missione di pace”? È una società da combattere
e da eliminare. Operai, ricordiamolo sempre, anche per noi i morti non sono tutti
uguali.

AsLO www.operai.net

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