RIBELLARSI E' GIUSTO

ne servi ne padroni

Odio gli indifferenti

"Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. Antonio Gramsci

UN GIORNO NON PUO' VIVERE SENZA LA SUA UTOPIA...

Così l’uomo deve vivere andare senza frontiere come bambini dietro un aquilone Correre giocare ridere vivere Non girare mai il volto anche quando a te non tocca Amare questa terra dove nel nostro cuore sventola rossa come il sole il simbolo di una nuova era Cammina uomo E va senza tempo Ridere amare lottare e poi infine invecchiare E passerà per questa terra come una luce di libertà

venerdì 4 dicembre 2009

Spacciatori d'aborto in metrò


Di quanti mesi sei? Ce l’hai venticinque euro?». Cinque del pomeriggio, attorno alla Stazione Centrale di Milano e nei sotterranei della metropolitana non serve sprecare molte parole. Basta accarezzarsi la pancia e accennare a un «problema». Inutile cercare visi loschi, imparare codici particolari o segnali stabiliti. Per agganciare chi possa offrirti la «soluzione» e bloccare la tua gravidanza è sufficiente camminare un po’, guardarti attorno, fermare le persone che sembrano aspettare qualcosa o qualcuno. Poi ti sfiori il ventre e spieghi: «Sono incinta. Puoi aiutarmi?». E le offerte arrivano, pastiglie da prendere a manciate o indirizzi di medici compiacenti: «bravi, italiani, fanno tutto a casa loro». Nel centro di Milano, in mezzo alla gente, in un pomeriggio qualsiasi.

La soluzione più economica si chiama «Cytotec», un farmaco contro l’ulcera che preso a dosi massicce provoca le contrazioni fino a provocare l’aborto. In farmacia, la confezione da trenta costa meno di quindici euro. Qui ne vogliono venticinque per cinque pasticche che passano di mano in mano, ma se sei clandestina e non hai documenti da mostrare all’ospedale le alternative non sono poi molte. Ma anche per le altre, le «regolari», magari italiane, la tentazione può essere forte.

La paura
«Le donne che abortiscono lo fanno per disperazione - dice Basilio Tiso, direttore sanitario della clinica Mangiagalli di Milano -. Le italiane, soprattutto, scelgono di farlo perché non arrivano a fine mese per colpa della crisi, hanno mariti con lavori precari oppure sono loro a essere al primo impiego e hanno paura di essere licenziate. Quelle che ricorrono all’aborto clandestino sono rare, ma ci sono: perché sono minorenni, perché hanno superato il limite dei tre mesi di gestazione consentito per legge, oppure per via dei tempi lunghi delle liste d’attesa in ospedale». Una volta, per abortire bastava una settimana, spiega Mauro Buscaglia, primario di ostetricia e ginecologia all’ospedale San Carlo, «ma oggi, con l’aumento dei medici obiettori, non è facile formare l’équipe per eseguire l’intervento. E intanto il tempo passa, di settimane ce ne vogliono quasi due. Per le donne straniere, poi, il problema è ancora più serio: da quando la clandestinità è diventata reato, in ospedale preferiscono non entrarci proprio. Hanno paura di essere denunciate anche se da noi, pacchetto sicurezza o no, nessuna è mai stata segnalata. E nessuna lo sarà mai».

Ma chi non ha il passaporto o il permesso di soggiorno non si fida. Così la voce delle pastiglie che fanno tutto da sole si sparge, e molte scendono nei sotterranei della metropolitana. E negli ospedali milanesi si moltiplicano i ricoveri dopo gli aborti dichiarati «spontanei»: «Gravidanze interrotte naturalmente» dicono le gestanti. Ma, sempre più spesso, le loro parole sono smentite dai medici che vedono arrivare al pronto soccorso e nei reparti donne con tipiche perdite di sangue da Cytotec. La crescita è più evidente nelle città del Nord: gli aborti spontanei in Lombardia sono passati da 10.779 nel 1997 a 12.151 nel 2006, anno degli ultimi dati Istat. E il trend, dicono gli operatori, sembra in netto aumento. Il San Carlo, negli anni, è diventato il punto di riferimento degli immigrati. È qui che la settimana scorsa Ana Maria, brasiliana di trentadue anni, ha rischiato la vita: «È arrivata al pronto soccorso con la febbre alta, la placenta semistaccata e una grave emorragia - racconta Buscaglia - Aveva interrotto la gravidanza con ventisette pastiglie di Cytotec, l’abuso del farmaco è stato devastante. Ma Ana Maria, per noi, non è un caso isolato: sono in molte che ci raccontano di aver comprato le pillole al mercato nero, e poi di non aver saputo come e quante prenderne». E tra queste non mancano le italiane.

La diffidenza
Alle cinque e mezzo, la fermata della metro di Piazzale Loreto è un via vai di giovani, coppie, adulti e bambini in carrozzina. Appoggiate a una ringhiera, due ragazze con i capelli lunghi e scuri, dai tratti sudamericani, parlano nella zona di passaggio, non troppo distante dai tornelli dove si timbra. Più giù, al binario, dietro la linea gialla, la gente in piedi o seduta sulle panchine ha l’aria di aspettare nient’altro che il treno.

Dieci minuti più tardi, le due ragazze sono ancora lì e allora provi, ti apri il cappotto, appoggi una mano sulla pancia e ripeti il ritornello: «Sto cercando una medicina, ma non ho la ricetta. Potete aiutarmi?». Le due si guardano e una fa un cenno verso il distributore automatico di biglietti: «Se vuoi il Cytotec vai dalla ragazza con la gonna lunga». Pochi scalini e sei da lei, che ti propone: «Vieni con me al campo nomadi. Di quanti mesi sei?». Le rispondi e lei ha già cambiato tono, è chiaro che non si fida: «Ma tu sei italiana, non ce l’hai un medico? No, non posso portarti al campo, sto lavorando», taglia corto, mentre mostra alle persone dove infilare le monete, senza guardarti più. Due fermate di metropolitana e da piazzale Loreto ti trovi alla Stazione Centrale. Nel sottopassaggio ci sono ambulanti che vendono ombrelli colorati, ben disposti su un lenzuolo bianco disteso per terra. In fondo, le scale mobili che portano in superficie. Qui, il fatto che tu sia italiana non fa paura a nessuno.

L’italiano
Vicino ai chioschi accanto alla Centrale, dove si vendono panini e bibite, due donne ferme sul marciapiede si riparano sotto l’ombrello. Si può tentare anche con loro. La più giovane, bella come una modella, con una treccia bionda lunga fino alla schiena, jeans e stivali, ascolta la richiesta d’aiuto mentre con gli occhi segue la mano che si appoggia poco più giù dello stomaco. Poi parlotta con quella accanto, più bassa, più anziana. Un dialogo in una lingua dell’Est. Solo una parola, chiara, netta, si capisce bene: Cytotec. «Ci sono delle pastiglie, ma per te è meglio un dottore. Se non fanno effetto, all’ospedale ci devi correre comunque.

E poi tu sei italiana, non rischi niente. Se vuoi ti do il numero di uno bravo, che non chiede molti soldi. In quattro ore e con 1.500 euro sei come prima. Ti fa una puntura nel braccio, ti schiaccia la pancia. E quando ti svegli è tutto finito». Non sono ancora le sei, è bastata un’ora e mi sono organizzata un aborto.

LA STAMPA.IT

1 commento:

  1. Avevo letto di questi soprusi terribili, ancora una volta ai danni delle donne, ma soprattutto di quelle che si trovano in difficoltà..E' un discorso terribile, ti fa venir voglia di prendere tutti a calci nel culo, perchè non è possibile che per ed alla donna si aggiunga violenza su violenza, ci sono situazioni che richiederebbero un aiuto immediato, ma c'è la "clandestinità", come spiegato bene nell'articolo..mi ricordo i tempi in cui era difficile abortire legalmente e si ricorreva al partito radicale..ne ho accompagnate 2 di ragazze...un servizio fuorilegge...bandito...

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