RIBELLARSI E' GIUSTO

ne servi ne padroni

Odio gli indifferenti

"Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. Antonio Gramsci

UN GIORNO NON PUO' VIVERE SENZA LA SUA UTOPIA...

Così l’uomo deve vivere andare senza frontiere come bambini dietro un aquilone Correre giocare ridere vivere Non girare mai il volto anche quando a te non tocca Amare questa terra dove nel nostro cuore sventola rossa come il sole il simbolo di una nuova era Cammina uomo E va senza tempo Ridere amare lottare e poi infine invecchiare E passerà per questa terra come una luce di libertà

domenica 1 novembre 2009

Figli di operai, l'ascensore sociale si è bloccato


Quante possibilità ha, oggi, il figlio di un operaio di Torino di diventare medico, ingegnere o dirigente? Poche, una su cinque o su sei, probabilmente meno di un ragazzo nato nello steso tipo di famiglia negli anni Sessanta o Settanta: l´ascensore sociale si è fermato, la stessa scelta della scuola media superiore sembra "paralizzare" i destini dei giovanissimi fin dai quattordici anni, quando varcano il cancello di un liceo piuttosto che quello di un istituto tecnico o professionale. E, sullo sfondo, resta la difficoltà di chi ha tra i venti e i trent´anni a conquistare autonomia, a vivere in una casa propria o a costruire una famiglia.

Diverso il destino delle seconde generazioni di chi a Torino è arrivato dal Marocco, dalla Romania, dall´Africa o dall´Est europeo: per loro è ancora possibile sperare in un miglioramento, se si confrontano le chance di un giovane diplomato con quelle del padre, un adulto privo di istruzione, svantaggiato dalla lingua e dalla mancanza di diritti, condannato almeno per i primi anni a una vita da manovale o da ambulante. Per discuterne e lanciare un nuovo "patto tra generazioni" che metta a confronto e migliori anche i sistemi di welfare pubblico sociologi e demografi italiani e europeo saranno riuniti per due giorni all´Università di Torino.

«La crisi economica sta portando con sé conseguenze pesantissime, che non siamo ancora pienamente in grado di valutare se si pensa al futuro dei giovani - spiega Adriana Luciano, sociologa del lavoro - Aziende e amministrazioni pubbliche stanno espellendo gli "anziani", tra poco uscirà chi era entrato negli anni Ottanta, come avviene anche nella nostra Università, senza con ciò essere in grado di accogliere davvero un numero sufficiente di giovani. Il nostro paese, e in particolare le città industriali come Torino, non sono in grado di riconvertire completamente e rapidamente il proprio sistema industriale in qualcos´altro, come il terziario avanzato di cui si parla tanto: l´unica strada è dunque innovare l´industria che c´è, offrendo così ai giovani posti di lavoro dignitosi, contratti regolari, rispetto delle regole».

Non è dunque così vero che nessun giovane torinese pensi a un futuro da operaio: «Ce ne sono molti anche tra gli studenti universitari, perché nelle medie industrie spesso il lavoro è dignitoso e ci sono più contratti stabili che nei servizi. E le migliaia di ragazzi torinesi che oggi riempiono gli istituti tecnici sarebbero contenti di un posto in fabbrica, anche cominciando da operai. Non sappiamo che cosa avverrà di loro in seguito, dato che a differenza di noi avranno una vita lavorativa lunga fino a cinquant´anni», avverte Luciano.

Determinati a farcela ad ogni costo sono i nuovi torinesi, i figli dei primi immigrati, soprattutto chi arriva dall´Est: «Per loro la scuola è riscatto, le famiglie sono spesso più attente a seguirli negli studi, in loro non c´è rassegnazione ma rabbia. Purtroppo cominciamo a registrare casi di abbandono collegati alla crisi: molte famiglie tolgono i ragazzi dalle scuole perché hanno bisogno del loro guadagno, anche in nero, nell´edilizia o come camerieri o inservienti».

Altri studiosi torinesi hanno analizzato in che modo l´esperienza dei genitori influenza le scelte dei figli: Manuela Olagnero ha individuato due modelli intervistando le madri e i padri che nella Torino di quaranta o cinquant´anni anni fa, quella dei treni dal Sud e del "non si affitta ai meridionali", non poterono studiare. «Sono loro, sulla base dei propri rimpianti, a incoraggiare i figli a restare a scuola più a lungo, anche se non si intravede uno sbocco sicuro (è il "modello della moratoria"), o a cambiare spesso provando lavori e esperienze diverse pur di non restare prigionieri in qualcosa che non piace (modello delle "resilienza")». Paola Torriani e Giulia Cavaletto hanno analizzato le storie scolastiche di chi si iscrive al liceo o al professionale: solo in pochi casi, quando il rendimento dei singoli studenti brilla e dà risultati eccellenti, si può sconfiggere la "predestinazione", quella secondo la quale per chi va al liceo può esserci un futuro da dirigente o da professionista, e per chi va altrove solo un posto in fabbrica o lavori precari e dequalificati.

«Spesso si contrappone una generazione all´altra, i giovani contro i vecchi, e così via - conclude Adriana Luciano - Gli studi che presenteremo, invece, mostrano che non è così: la società sopravvive perché i vecchi aiutano i giovani, perché passano loro le case comprate quando eravamo meno poveri. Ma non potrà durare in eterno, per questo serve un patto nuovo e nuove politiche pubbliche».
da: Repubblica

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