Frittate, vernice e fumogeni.
[Verso il 16 ottobre] Non si fermano le iniziative di contestazione dal basso che, di giorno in giorno, individuano nella Cisl e nella testa d'ariete Marchionne i principali corresponsabile della svendita - a braccetto: padronato e sindacato - dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Ultime in ordine di tempo, la sede nazionale dei 'gialli' a Roma, in via Po, e una sperduta località nei pressi di quel ramo del lago di Como, dopo le uova di ieri a Jesi contro una sede Fiat
Come a dire, dalla capitale alla più remota provincia del Belpaese, l'insofferenza per la sfacciataggine di certi loschi figuri che si presentano come "legittimi rappresentanti dei lavoratori", non accetta più di essere trattenuta ed esce, seppur ancora troppo raramente, allo scoperto.
Anche i soggetti in campo sono i più svariati e non si può certo più marginalizzare l'operato come beau geste dei soliti estremisti di turno. Se scontate sono le condanne della Cgil come organismo centrale, più sfumate le prese di posizioni di Fiom o minoranza Cgil della seconda mozione (La Cgil che vogliamo), a seconda dei casi.
Quando non son frutto di giovani precari/e, cresciuti nei movimenti degli ultimi anni o nei centri sociali, non di rado queste contestazioni sono portate avanti da militanti di base della Fiom, spesso delegati rsu. E se Epifani non perde occasione nel biasimarli e definire "tutte le sedi sindacali" - indistintamente - come "sacre" (in una società in cui l'homo economicus ha da tempo sotterrato il sacro in ogni sua forma - quando non lo ha reso merce) pazienza... i fatti, per ora almeno, si commentano da soli.
A quanti non volessero scorgervi l'utilità e la ragione, è bene ricordare che già la tanto discussa contestazione torinese fu frutto di un consenso generalizzato, dell'interpretazione di un sentimento maggioritario di disprezzo per l'operato dei vari Bonanni e Angeletti. Se in quel caso si lanciava un segnale il giorno dopo la disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici annunciato da Federmeccanica, le contestazioni di ieri e oggi seguono l'inizio dei colloqui tra Confindustria e "parti sociali" (leggi: i sindacati gialli della collaborazione) per l'applicazione del famigerato progetto di "Fabbrica Italia", modello apripista di Marchionne per l'instaurazione di nuovi rapporti generali tra Capitale e Lavoro, il modello Pomigliano che proprio là ha trovato una prima, solida base di resistenza nel mancato plebiscito di quegli operai contro cui era diretto.
Come a dire, dalla capitale alla più remota provincia del Belpaese, l'insofferenza per la sfacciataggine di certi loschi figuri che si presentano come "legittimi rappresentanti dei lavoratori", non accetta più di essere trattenuta ed esce, seppur ancora troppo raramente, allo scoperto.
Anche i soggetti in campo sono i più svariati e non si può certo più marginalizzare l'operato come beau geste dei soliti estremisti di turno. Se scontate sono le condanne della Cgil come organismo centrale, più sfumate le prese di posizioni di Fiom o minoranza Cgil della seconda mozione (La Cgil che vogliamo), a seconda dei casi.
Quando non son frutto di giovani precari/e, cresciuti nei movimenti degli ultimi anni o nei centri sociali, non di rado queste contestazioni sono portate avanti da militanti di base della Fiom, spesso delegati rsu. E se Epifani non perde occasione nel biasimarli e definire "tutte le sedi sindacali" - indistintamente - come "sacre" (in una società in cui l'homo economicus ha da tempo sotterrato il sacro in ogni sua forma - quando non lo ha reso merce) pazienza... i fatti, per ora almeno, si commentano da soli.
A quanti non volessero scorgervi l'utilità e la ragione, è bene ricordare che già la tanto discussa contestazione torinese fu frutto di un consenso generalizzato, dell'interpretazione di un sentimento maggioritario di disprezzo per l'operato dei vari Bonanni e Angeletti. Se in quel caso si lanciava un segnale il giorno dopo la disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici annunciato da Federmeccanica, le contestazioni di ieri e oggi seguono l'inizio dei colloqui tra Confindustria e "parti sociali" (leggi: i sindacati gialli della collaborazione) per l'applicazione del famigerato progetto di "Fabbrica Italia", modello apripista di Marchionne per l'instaurazione di nuovi rapporti generali tra Capitale e Lavoro, il modello Pomigliano che proprio là ha trovato una prima, solida base di resistenza nel mancato plebiscito di quegli operai contro cui era diretto.
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